Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Nuovo omaggio a Napoli e racconto di formazione della sua gioventù, stavolta al femminile e quindi meno autobiografico del precedente film , pur scontando innegabili limiti e difetti nella prima parte non ben a fuoco poi si riprende con personaggi sorrentiniani che lasciano il segno come il professore e il cardinale. Voto: 6,667 su 10
Dopo l'emozionante E' Stata la Mano di Dio , Paolo Sorrentino dedica un nuovo film alla sua Napoli, personificata dalla protagonista femminile, una ragazza nata come una ninfa nelle acque del mare di Posillipo nel 1950, a cui il padrino, l'armatore e futuro sindaco Achille Lauro, assegna l'evocativo nome di Parthenope.
Una famiglia di origine agiata, un padrino importante, un fratello con cui ha un rapporto ambiguo e simbiotico, uno spasimante perdutamente innamorato, uomini che ammalia come una sirena, la fascinazione per uno scrittore americano sono i componenti della spensierata giovinezza di questa ragazza tanto attraente quanto curiosa ed arguta, finché una tragedia familiare non arriverà improvvisa a sconvolgere e lacerare la sua serenità.
Negli anni successivi la protagonista, alla ricerca della sua strada in una Napoli che sfugge ad ogni logica comprensione, sarà tentata dalla carriera cinematografica ed addirittura dalla malavita, ma sceglierà infine, con una tesi di laurea sull'impatto culturale del miracolo, la carriera universitaria, seppur Parthenope non sappia definire con precisione in cosa consista la sua scienza d'elezione, l'antropologia.
Opera barocca, ridondante ed eccessiva come al solito per l'autore, è innegabilmente girata con grande maestria e sa riempire lo schermo di bellezza e luminosità abbacinanti, quelle dei panorami mozzafiato sullo splendore sull'azzurro del Golfo. Ovviamente Sorrentino rifugge ogni realismo per concentrarsi sugli aspetti favolistici, magici e grotteschi della sua città, dal miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro, ai rituali erotici della camorra, dalle carrozze settecentesche al mostro felliniano personificato dall'enorme e ridanciano bambolotto figlio del professore. Come nell'opera precedente, il suo sguardo sulla gioventù è ricco di empatia ma anche di disillusione, dato che le speranze che ci accompagnano negli anni della crescita sono inevitabilmente destinate a scontrarsi contro il dolore e la crudezza della vita adulta.
Il film soffre una certa discontinuità e la trama non è sempre a fuoco, soprattutto la prima parte è segnata da certi passaggi ellittici e di difficile comprensione, mentre divaga su aspetti secondari in maniera persino irritante; delude lo scrittore interpretato nientemeno che da Gary Oldman, sprecato per una parte così inconsistente.
E' invece nella seconda metà che il film si ricompatta e alza notevolmente il livello, grazie soprattutto a personaggi memorabili come il temuto barone universitario che la prende sotto la sua ala protettiva (Silvio Orlando) ed il cardinale seduttore (un grande Peppe Lanzetta). Proprio la brillante scrittura di determinate figure che accompagnano il percorso della protagonista permette al film di lasciare il segno, con battute fulminanti che ricordano quelle de La Grande Bellezza (“all’università si viene già cacati e pisciati“, “è impossibile essere felici nella città più bella del mondo”, “la schiena è tutto; il resto è pornografia”). Sfiziose anche le figure femminili rivali che la protagonista incontra nel suo tentativo di approccio al mondo del cinema : l'insegnante di recitazione dal volto sfigurato occultato da una maschera nera (Isabella Ferrari) e la permalosa diva simil-Loren che lancia strali contro i napoletani “trasandati e folcloristici”(Luisa Ranieri).
L'attrice protagonista, l'esordiente Celeste Dalla Porta, se la cava in un ruolo che avrebbe richiesto un'interprete maggiore esperienza considerando che è costantemente in scena, prestando comunque bellezza , candore e spontaneità al ritratto di una splendida “furbacchiona” che, come i personaggi dei vecchi film, vorrebbe avere in ogni situazione la risposta sempre pronta.
Nel finale, in cui il tifoso Sorrentino non si lascia scappare l'occasione di un omaggio calcistico alla vittoria dello scudetto nel 2023, all'anziana Parthenope dà invece il volto Stefania Sandrelli, a cui sfugge qualche inflessione toscana abbastanza incongrua per una napoletana trapiantata a Trento, che ritorna dopo il pensionamento nella città natale per affrontare finalmente il trauma del lutto che l'ha colpita tanti anni prima.
Come omaggio a Napoli e racconto di formazione della sua gioventù considero senz'altro superiore il precedente e più autobiografico E' Stata la Mano di Dio. Forse l'autore, ancorandosi alle proprie esperienze personali, è riuscito meglio a mettere a fuoco senza divagazioni quello che voleva esprimere su speranze giovanili e disillusioni della vita.Tuttavia Parthenope, da intendere come capitolo femminile di un dittico , pur con qualche innegabile limite e difetto si inserisce di diritto nella poetica di un autore che ha ultimamente orientato la sua macchina da presa sul racconto del fascino misterioso ed immortale della sua città e sulla complessa ricerca della propria strada nel mondo.
Voto: 6,667 su 10
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