Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Non ho niente da dire, ma voglio dirlo lo stesso, esclamava con piccata ironia il Guido Anselmi di “8 e ½”. Il film preferito di Paolo Sorrentino. E questa frase risuona prepotente nella mia testa durante la visione di “Parthenope”. Una Grande Bellezza partenopea rappresentata dalla figura della protagonista. Una biografia privata della città in chiave metaforica. Dal 1950 al 2023. C’è un richiamo al Comandante Lauro (Alfonso Santagata dalla voce indimenticabile, già dalle pellicole di Moretti), al colera, un accenno alla Camorra nella Grande Fusione carnale tra clan (geniale), all’Università Federico II, ai bassi di Napoli, a dive effimere etc. Nella prima parte lo stile del premio Oscar si riduce spesso a degli estetismi estenuanti girati tra il golfo di Napoli e i faraglioni di Capri (rappresentano la bellezza e la spensieratezza della giovinezza che dura troppo poco). Gli attori sono sbagliati o solo belli alla Guadagnino? e persino il buon Gary Oldman nei panni dello scrittore John Cheever biascica aforismi alla Jep Gambardella. Il ritmo e l’interesse salgono ogni qual volta entra in scena il professor Marotta di Silvio Orlando (una sicurezza): la Napoli accademica e culturale si è detto. E’ soprattutto un personaggio che con il figlio fatto di acqua e sale (Dio non ama il mare) tocca vette di umanità che ricordano i picchi surreali visti nel dittico sui papi e quindi il cardinal Voiello. Cresce con la stravagante Flora Malva dalle labbra sensuali di Isabella Ferrari. Si cresce di più con la parruccona folcloristica Greta Cool di Luisa Ranieri che distrugge la napoletanità e alla quale va la Palma della miglior battuta del film ri-ferita a Parthenope: “Sei bella e dimenticabile, hai gli occhi spenti”. E calza a pennello per il personaggio e l’attrice che la interpreta Celeste Dalla Porta. E ancora il vescovo Tesorone del grande Peppe Lanzetta, un quadro caustico sulla credulità popolare e probabilmente il segmento visionario meglio riuscito di un’opera segnata da tre/quattro ossessioni: le frasi ad effetto che però non fanno sostanza e contenuto ma pillole di ironia e saggezza; le sigarette mai spente; il tempo che trascorre accanto al dolore (‘a grande tristezza di fondo) e il vedere finalmente le cose che contano quando vengono a mancare.
“Parthenope” è uno zibaldone di tante suggestioni, ricordi, emozioni, passioni e omaggi alla sua terra. Compreso il fatidico odore delle case dei vecchi. Zibaldone trasfigurato in verità eterne, inferenze logiche e visioni metafisiche. Secondo e ultimo capitolo personale che lascia perplessi perché ritorna la battuta iniziale presa in prestito dal capolavoro di Fellini e che Sorrentino realizza appieno.
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