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La furia del peccato

Regia di Gustaf Molander vedi scheda film

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La recensione su La furia del peccato

di mm40
6 stelle

Primavera del 1945. Martin e Frida sono una giovane coppia svedese, genitori del piccolo Pil. Un giorno, dal fioraio, Martin viene sedotto da Ruth, cacciatrice di uomini: comincia così una relazione clandestina che l'uomo fatica sempre più a mantenere tale. Ruth, arrivista e spietata, ha un passato terribile che non può raccontare; Martin, chiamato nell'esercito, decide di disertare per rimanere con lei. Ma è perfettamente conscio di stare sbagliando tutto.

I titoli di testa della pellicola non lasciano dubbi: “Manuskript Ingmar Bergman”. Il futuro regista del Settimo sigillo e di tanti altri immortali capolavori, ai suoi esordi, scrisse una manciata di sceneggiature su commissione per colleghi già più esperti del mestiere (Bergman aveva debuttato dietro la macchina da presa l'anno precedente, nel 1946, con Crisi), come accade in questo caso a favore di Gustaf Molander. La furia del peccato è un melodramma senza mezze misure che vede consumarsi la disperazione del giovane Martin, diviso fra una moglie che forse non rappresenta ciò che vorrebbe nella vita, Frida, ma con cui ha avuto il piccolo Pil; e un'amante perfida, arrivista, incosciente come Ruth. Dramma nel dramma, il passato di Ruth torna minacciosamente a galla e con esso una serie di preoccupanti fantasmi che finiscono per peggiorare la crisi esistenziale e affettiva di Martin. C'è già tanto di bergmaniano in questo piccolo copione e, al di là dell'attento lavoro di Molander, collaborano alla riuscita del film le interpretazioni dei tre attori principali: Anita Bjork (Frida), Gunn Wallgren (Ruth) e Alf Kjellin (Martin). Se la prima comparirà ripetutamente nelle opere del Maestro, da Donne in attesa del 1952 a Bildmakarna del 2000, la seconda avrà d'altronde un ruolo, pur non importante, in Fanny & Alexander (1982); quanto al terzo, è per la sua regia che Bergman scriverà insieme a Erland Josephson The pleasure garden, nel 1961. Quanto infine a Molander, l'anno seguente licenzierà l'ancor migliore Eva, sempre con un copione firmato Ingmar Bergman. Medaglia della Biennale al Festival di Venezia 1948. 6/10.

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