Regia di Dea Kulumbegashvili vedi scheda film
VENEZIA 81 - CONCORSO - PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA
Le anime vagano errabonde ed ansimanti tra paludi oscure ove corpi parzialmente putrescenti o in corso di formazione cercano ossessivamente la giusta via per poter uscire e realizzarsi.
Il percorso dell'anima che si fa corpo e cerca di vivere parte da un limbo dove ci si salva e ci si realizza solo fuggendo per trovare il giusto percorso.
Nina fa l'ostetrica in una struttura ospedaliera della Georgia, paese che non consente l'aborto nemmeno nei casi più eclatanti e palesi di maternità imposta da azioni prevaricanti e di violenza sessuale conclamata.
Per questo la donna, riconosciuta per la propria abilità, ma anche persona scrupolosa ed integra che prende a cuore lo stato delle proprie pazienti, registrate o meno negli archivi della struttura presso cui lavora, finisce per essere non solo il riferimento ufficiale per le nuove nascite, ma anche, clandestinamente, per la gestione delle interruzioni di gravidanza, venendo incontro, pietosa e comprensiva, alle richieste più disperate.
Coinvolta in un caso di decesso di un nascituro a seguito di una gestazione complicata da problematiche scoperte sul momento per la mancata registrazione in ospedale della partoriente, la donna diviene oggetto di inchiesta e anche posta al centro di indagini per sospetti reiterati di pratiche di aborto eseguite clandestinamente.
Notizie che il rancoroso marito della partoriente col nascituro deceduto rimette in circolazione, come per vendicarsi di una disgrazia che ritiene dovuta a negligenza della dottoressa.
Nina è il personaggio centrale del nuovo complesso e tortuoso film della georgiana Dea Kulumbegashvili.
Una figura dolente, solitaria, che agisce a suo rischio per salvaguardare anime in pena bisognose di un atto concreto e risolutivo di cui ella si accolla responsabilità e rischio.
Una persona che dà amore senza mai riceverne, e per questo costretta ad una solitudine latente che le concede al massimo qualche sfogo sessuale promiscuo e meccanico, che le regala più amarezze che soddisfazioni.
Il ritorno assai atteso in regia di Dea Kulumbegashvili, dopo quel Beginning premiato ed osannato in molte occasioni, avviene con un'opera crepuscolare che parla di vita, ma soprattutto di morte ed ansia nel sentirsi trasformare in un capro espiatorio di un mondo che vive di violenze e soprusi, ed in cui le vittime di tali azioni necessitano di un elemento sacrificale che le metta in salvo, cancellando le tracce e le conseguenze di una violenza barbara e prepotente imposta da comportamenti istintivi e prevaricanti da uomini tramutati in bestie.
April è un film percorso da corpi in costruzione o, forse, al contrario , in disfacimento: anime in pena che registrano la frustrazione ansiogena ed ansimante di strutture ancora deformi costrette a vagare perennemente entro un limbo paludoso ove la violenza umana le ha confinate.
April, prodotto tra gli altri da Luca Guadagnino, è un film complesso ed ostico che non fa nulla per rendersi ammaliante, ed anzi spiazza nel mostrare come un atto di parto possa risultare come un'azione tutto fuorché naturale e scontata.
Ma è anche un film che costringe lo spettatore ad inzaccherarsi nei terreni paludosi che portano, forse, ad una compiutezza che solo attraverso il sanguinoso e complesso atto del parto potrà avvenire veramente.
Nel ruolo della persona che si prende la responsabilità di "dare la luce", o di toglierla per salvaguardare le vittime di una violenza indicibile che lo Stato e la legge non si curano di tutelare né di prendere in considerazione, ecco che interviene un animo sacrificale come quello di Nina (ben interpretata da Ia Sukhitashvili, già protagonista del precedente Beginning) individuo che rinuncia alla felicità e alla realizzazione per darsi agli altri ed appianare soluzioni.
Per lei non c'è spazio o luogo per l'amore o l'affetto, e l'esercizio di un sesso meccanico e promiscuo non fa che renderla più determinata e consapevole in questo suo ruolo.
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