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Il maestro burattinaio

Regia di Hou Hsiao-hsien vedi scheda film

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La recensione su Il maestro burattinaio

di AtTheActionPark
10 stelle

Il cinema come memoria.

Il baestro burattinaio, di Hou Hsiao-hsien, si inserisce come capitolo centrale della cosiddetta “trilogia storica”, composta dal precedente (e più celebre) Città dolente, del 1989, e il successivo Good Men, Good Women, del 1995. Il nome della trilogia è, però, abbastanza convenzionale, in quanto i tre film presentano differenze abbastanza evidenti. Nel caso specifico de Il maestro burattinaio, il tentativo del regista taiwanese fu quello di sperimentare un cinema in cui la rappresentazione degli eventi e la loro narrazione abbracciassero modalità differenti, trovando infine la perfetta sintesi nell’uso, al contempo classico e sperimentale, del mezzo cinematografico.

Il film è la storia di Li Tien-lu, ma anche la Storia del Taiwan. Hou scandisce gli episodi della vita di Li sullo sfondo degli avvenimenti storici del suo paese - ovvero l’occupazione giapponese, la Seconda Guerra Mondiale, la liberazione - evocati attraverso espedienti sempre nuovi e mai banali.

Li Tien-lu, che giovanissimo trova lavoro, quasi casualmente, come aiutante-burattinaio, lungo il corso degli anni matura grande esperienza fino a diventare uno dei grandi maestri di quest’arte così affascinante. Il regista inserisce nel film la voce over di Li, che narra la storia della sua vita, e spesso lo inquadra “fisicamente” all’interno del film stesso, sottolineandone il ruolo di narratore. Parallelamente, le continue rappresentazioni degli spettacoli di burattini acquisiscono, via via, un ruolo centrale, diventando un ulteriore “specchio” della narrazione stessa.

Hou, per ricostruire la storia di Li, lavora attraverso le ellissi e le metonimie. Il maestro burattinaio è un film letteralmente proustiano, in cui la memoria lavora in maniera progressiva - un vero e proprio esempio di stream of consciousness cinematografico -, ed episodica: dunque, mai artefatta o costruita. Un film denso, spesso toccante e poetico, costruito attraverso un uso del piano-sequenza, che, come nota giustamente Neil Novello [1], non ha uno scopo realista (baziniano), ma che lavora sul tempo, separando tra loro gli episodi via via evocati da Li. Piani-sequenza spesso statici e suddivisi in quadri interni che richiamano il cinema di Yasujiro Ozu, necessari per stimolare l’attenzione dello spettatore, e calarlo nel flusso temporale e memoriale del film.

Per chi scrive, uno dei grandi capolavori della storia del cinema.

 

[1] Neil Novello, Melanconia del tempo, o della fragilità immarinaria, saggio contenuto in (a cura di) Roberto Chiesi, Hou Hsiao-hsien: cinema delle memorie nel corpo del tempo. Le Mani Editore.

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