Regia di John Guillermin vedi scheda film
Uno dei romanzi della Christie a cui sono più legato e probabilmente, anche se non è un dato accertato, il film che nell’arco di trent’anni ho rivisto più spesso ad intervalli regolari pur sapendo le battute a menadito e ricordando chiaramente il twist della trama che tiene l’assassino ben nascosto fino alla fine, ho anche letto la versione del romanzo in olandese intitolata “Moord op de Nijl” che mi fu molto utile per migliorare quel poco di questa lingua che so parlare, insomma “Assassinio sul Nilo” è uno dei miei gialli preferiti su carta o pellicola e tutto ciò lo si deve alla perfetta fusione del lavoro di chi lo ha scritto, diretto e soprattutto interpretato perché insieme ad “Assassinio sull’Orient Express” di Lumet e “Delitto sotto il sole” di Hamilton questo film ha il grosso pregio di mettere in mostra la prova sontuosa di un cast di grandissimi nomi, non grandi, GRANDISSIMI nomi del panorama attoriale anglofono di quel periodo, amalgamato fra giovani emergenti e gloriosi monumenti della vecchia Hollywood e del cinema britannico: Olivia Hussey e John Finch fanno il proprio dovere in due ruoli di contorno comunque importanti nello sviluppo dell’intreccio, Simon McCorkindale è perfetto nel ruolo del belloccio sposato con la ricca ereditiera Linnet Ridegway che ha il volto indimenticabile della top model e Bond girl Lois Chiles, con indosso gli abiti d’epoca è semplicemente divina e la sua interpretazione dona al personaggio quella vena di supponenza detestabile per la quale potrei dire tranquillamente che è la sua prova più bella sul grande schermo, le si contrappone la migliore e meritatamente più famosa del giovane cast, una Mia Farrow grandiosa nei panni di Jaqueline De Bellefort, il personaggio più complesso e sfaccettato dell’intero lotto che attraversa la storia dall’inizio alla fine, ultima ma non ultima per bravura Jane Birkin in un ruolo di contorno comunque importante che sottolinea ancora di più lo stato di grazia della Christie quando scrisse il romanzo proprio per la capacità di rendere funzionale alla storia ogni singolo elemento seppure in percentuale differente.
La vecchia guardia è composta da solidi caratteristi come George Kennedy e Jack Warden di solida scuola statunitense, Angela Lansbury e Maggie Smith a dire poco strepitose nella parte di una scrittrice alcolizzata e della serva frustrata della mitica Bette Davies in una delle sue ultime apparizioni ma ancora divina in ogni tic che delinea i tratti di madame Von Schuyler attratta dai gioielli, su di loro aleggia la performance vincente e convincente fornita da Peter Ustinov nei mustacci di Hercule Poirot, la prima di una lunga serie continuata al cinema e in televisione per ben cinque volte ma con risultati meno altisonanti in tv per la scarsa vena degli sceneggiatori e dei registi, è bello vedere un grande attore come Ustinov plasmare il personaggio a suo piacimento distaccandosi notevolmente dalla caratterizzazione speculare dei romanzi fornita da Albert Finney nel film di Lumet o da quella più recente di David Suchet: il Poirot di Ustinov è furbo e sornione ma anche un po’ comico, arrogante ed aggressivo quando serve e goffo se c’è da far valere il fisico non a caso al suo fianco in un ruolo molto diverso dal colonnello Hastings, lo storico braccio destro nei romanzi, c’è il solito elegantissimo David Niven che da esperto ex militare sa maneggiar spada e rivoltella garantendo a Poirot una maggiore sicurezza oltre che un valido interlocutore per le indagini.
Il cast stellare di "Assassinio sul Nilo"
Ognuno di questi attori è vestito perfettamente con il personaggio affidatogli da John Guillermin in fase di casting e Anthony Shaffer nella stesura dello script che rispetta notevolmente il romanzo, in pratica le due omissioni più rilevanti sono due personaggi legati alla sottotrama delle perle mentre la differenza più rilevante dell’intera trama è che al contrario del romanzo nel film tutti i personaggi che ruotano intorno a Linnet Ridgeway hanno un movente per ucciderla, a mio avviso una brillante trovata narrativa che permette allo spettatore di concentrarsi su un tassello fondamentale dell’indagine da considerare come l’elemento più importante per individuare il colpevole.
Il viaggio di nozze dei giovani e bellissimi coniugi Doyle è un'occasione preziosa colta al volo da John Guillermin per raccontare questo eccellente giallo nei meravigliosi paesaggi naturali dell’Egitto, luccicante nelle immagini come la sua storia millenaria, ogni location è sfruttata al meglio per sviluppare la trama e produrre suspance e brividi elegantissimi e approfondire il carattere dei personaggi anche senza far pronunciare mezza battuta ai suoi attori e a tal proposito non posso esimermi dall’elencare qualche sequenza: l’introduzione di Poirot a dir poco geniale perché segue i freschi coniugi Doyle fin sotto l’imponenza della sfinge e le piramidi per poi sfumare dalla loro conversazione sull’inquadratura del leggendario investigatore belga che sembra dormire avvolto dalla canicola ma potrei giurare che sta origliando come per riflesso condizionato, l’architettura perfetta della sequenza nel tempio di Amun con i personaggi che girano senza meta nella penombra mentre qualcuno di loro comincia a scalare i gradoni del tempio ripreso in soggettiva, il respiro ansimante rompe il silenzio fino al fragore del macigno che per millenni è rimasto immobile ed è precipitato all’improvviso, se non sbaglio questa sequenza non proviene dal romanzo e quindi la si deve alla penna di Shaffer, la reputo utilissima per accrescere la tensione che precede l’omicidio vero e proprio.
Il tempio di Abu Symbel con la sua statua parlante che Guillermin sfrutta quasi come un elemento magico per poi sprigionare la follia scolpita negli occhi di Mia Farrow comparsa all’improvviso fra le statue del tempio, e poi il Nilo vero e proprio nastro trasportatore dell’indagine che si consuma a bordo del Karnak, raccontata da mille punti di vista fra false supposizioni, rivelazioni, piste sbagliate, inquadrature immaginarie, accuse e uccisioni con un pizzico di macabra ironia, il tutto orchestrato dalle cellule grigie di Hercule Poirot che ovviamente risolve il caso rischiando anche la pelle.
Credo che sarebbe piaciuto alla Christie anche se il personaggio più famoso da lei creato non è proprio identico alla sua idea, sicuramente rispetta l’atmosfera gialla di uno dei romanzi realizzati durante i suoi viaggi esotici che sono un trittico composto da Non c’è più scapo (Murder in Mesopotamia) e La domatrice (Appointment with the death) che si svolge a Gerusalemme, tutti e tre i libri hanno come protagonista Poirot.
L’intreccio degli elementi e degli indizi è come sempre elaboratissimo ed è facile riscontrare qualche forzatura, molti puntano il dito sulla boccetta di smalto che poteva facilmente essere gettata via dal colpevole, posso anche essere d’accordo ma è un piccolo dettaglio che non avrebbe impedito a Poirot di risolvere il caso.
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