Regia di Joel Schumacher vedi scheda film
1971. Un gruppo di reclute si addestra al campo militare di Tigerland in attesa di essere spediti in Vietnam, in quanto la base è una perfetta simulazione di ciò che trovaranno una volta arrivati nel sud-est asiatico.
Tra i vari soldati c’è Buzz, un vero casinista piantagrane, ribelle indisciplinato e strafottente, odiato dai superiori e amato dalla maggioranza dei commilitoni. Cerca in ogni modo di farsi congedare e, nel mentre, riesce a trovare delle scappatoie legali o dei cavilli per rimandare a casa i suoi compagni più deboli e indifesi, salvandogli così la vita.
Pellicola misconosciuta e passata colpevolmente sotto silenzio all’epoca, Tigerland è forse l'opera più coraggiosa e personale di Joel Schumacher, probabilmente il suo film migliore (o almeno io lo ritengo tale) ma il tutto parte da una premessa fondamentale: Tigerland non è un’invenzione ma un campo di addestarmento realmente esistito tra gli anni ‘60 e ‘70 dove giovani reclute venivano mandati a “provare” la guerra in anticipo, in quanto il campo ricostruiva nella maniera più fedele possibile la tipologia del terreno vietnamita e veniva usato come ultimo banco di prova prima di inviare i propri soldati nel paese asiatico.
Il regista sfrutta così al meglio una sceneggiatura in parte autobiografica scritta da Ross Klavan (che a Tigerland ci andò sul serio) e da Michael McGruther nel riportare i vari sentimenti, anche contrastanti, dell’America di allora in quanto si era ormai diffusa una forte corrente pacifista e anti-militarista rappresentata nel film dal soldato Buzz e dal conflitto interno con i suoi superiori, e che incarna in parte quella stessa rigidità militare già esposta ad esempio in Full Metal Jacket, seppur in questo caso in modo meno caricaturale e forse più realistico.
Il risultato è un film particolare su più livelli, un viet movie realizzato ormai a tempo scaduto (la moda era ormai passata da diversi anni) e a bassissimo costo (solo quattro settimane di riprese), scarno ma non povero, quasi minimalista e con uno stile documentaristico ottenuto attraverso l’uso della macchina a mano, una fotografia in 16 mmm fredda e desolata decolorata negli esterni e ad opera del bravo Matthew Libatique, e con un realismo decisamente sfrontato e superiore alla media, sia per situazioni che per linguaggio, anche all’insegna di una certa ambiguità di forma, sospeso com'è tra il militarismo Made in USA e la sua critica più feroce.
Il film può inoltre contare sull’ottima prova dell’intero cast formato da attori quasi sconosciuti o alle prime armi ma decisamente promettenti, a partire dal protagonista Colin Farrell, qui al primo ruolo importante della sua carriera, dalla rara e sfacciata intensità e che raramente è riuscito ad eguagliare nel prosegue della sua carriera, e da Matthew Davis, Clifton Collins Jr., Tom Guiry, Shea Whigham, Cole Hauser e, in un ruolo minore, anche Michael Shannon.
Da riscoprire.
VOTO: 7,5
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta