Regia di Woody Allen vedi scheda film
Allen mette umilmente a nudo le proprie paturnie, le proprie fisse, le proprie convinzioni personali e umane.
Mai come in Hollywood Ending Woody Allen era stato così squisitamente autoironico. Nel raccontare le traversie lavorative, oltre che amorose (il divorzio dall'ex moglie Téa Leoni), di un regista ipocondriaco, Allen mette umilmente a nudo le proprie paturnie, le proprie fisse, le proprie convinzioni personali e umane: il suo Val Waxman ha due matrimoni falliti alle spalle (che per il cineasta sono quelli con Diane Keaton e con Mia Farrow), teme la morte, dice che New York è una città in bianco e nero (con limpido rinvio a Manhattan) e alla fine il suo film è apprezzato più in Europa che in America. Questa tragicomica onestà psicanalitica è un valore che permea tutto il suo cinema e che qui ha una compiutezza che si avvicina – però non perviene – all'autobiografismo schietto e felliniano di Stardust Memories. La vicenda non ingrana immediatamente, ma l'appuntito sarcasmo del copione (ad opera di Allen, ovviamente) contagia con facilità e la parte in cui Waxman riprende da cieco tentando maldestramente di mascherare la sua temporanea invalidità psicosomatica è davvero ricca di spirito e battute centrate. Piuttosto simpatico il personaggio dell'assistente dello sfortunato protagonista, rivestito da George Hamilton.
In colonna sonora, brani jazz di Bing Crosby, Jackie Gleason e Bobby Hackett.
BUON film (7) — Bollino VERDE
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