Regia di Woody Allen vedi scheda film
Woody Allen, film numero 32: Manhattan e il mestiere di cineasta, bisticci con un grande amore mai dimenticato e imbarazzi nei confronti di un figlio poco frequentato, New York versus Hollywood, soprattutto, e non solo, nel senso di cinema indipendente contro studio system. ”Hollywood Ending“ rimette in circolo i temi che sono stati ossessivamente e comicamente cari ad Allen fino a qualche anno fa e pare adombrare una sorta di ricognizione in chiave slapstick del primo capolavoro dell’autore americano. Cosa sarebbe successo se Annie Hall fosse rimasta a Hollywood, si fosse fidanzata con un produttore e, anni dopo, avesse reincontrato a New York Alvy Singer (regista invece che comedian) impegnato in una difficile risalita della sua carriera? Le prime scene del film, il dialogo nel bar nel quale, da una discussione di lavoro, Al Waixman e l’ex moglie Allie passano automaticamente a recriminare sulla loro storia rimandano immediatamente a “Io e Annie”, come la continua contrapposizione tra East e West Coast e il palese contrasto tra il regista indipendente interpretato da Allen e la troupe hollywoodiana. Ma Allen, come spesso negli ultimi film, decide di attenersi al registro decisamente comico e introduce il tema della cecità psicosomatica che colpisce il protagonista nel bel mezzo delle riprese per accumulare gag e scene paradossali. I tempi di Allen sono perfetti, sia come attore che come regista: le scene in cui va a trovare il produttore senza vederci, o ”visiona“ i giornalieri o dirige le sequenze al buio sono irresistibili. Eppure si ha l’impressione di trovarsi davanti a una costruzione esemplare, alla quale però manca quello scatto in più, quel calore, quella compattezza che rendevano inimitabili le commedie, anche recenti come “La dea dell’amore”, “Pallottole su Broadway”, “Misterioso omicidio a Manhattan”. Forse la cecità non è un’idea abbastanza forte per sorreggere un intero film; e forse manca anche la malinconia nella quale si è sempre stemperato l’umorismo di Allen che, per una volta, pur nella sua disarmante maldestrezza, rischia di fare la figura del grillo parlante.
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