Regia di Woody Allen vedi scheda film
31° film di Allen. Per l’ennesima volta il regista mette in scena sé stesso, i suoi problemi con il lavoro e con le donne; pecca senz’altro di narcisismo, soprattutto riguardo alle seconde (Téa Leoni e Debra Messing potrebbero essere sue figlie), ma gli si perdona volentieri perché si ride parecchio: lo spunto della cecità, anche se palesemente metaforico, viene però svolto in modo credibile (sia pure all’interno di un contesto comico). L’autobiografismo è distorto e paradossale, mescola l’Allen persona e personaggio: l’ex moglie trasferita a Los Angeles, nota giustamente Emanuela Martini, è una proiezione di Diane Keaton un quarto di secolo dopo Io e Annie; il finale prende spiritosamente in giro i critici europei, pronti a osannare qualunque cosa di Allen (anche quelle che lui stesso giudica porcherie). Nonostante il successivo Anything else (del resto concluso a sua volta da una partenza) sia ancora ambientato a New York, questo film segna probabilmente un punto di non ritorno, un addio alla città che aveva finora fornito l’humus a tutta l’opera alleniana. Una rivisitazione piacevolmente manierata, prima del distacco.
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