Regia di Lee Isaac Chung vedi scheda film
Cos’è Twisters rispetto al Twister di Jan de Bont del 1996? Un reboot, un sequel, un “requel” come lo chiamavano in Scream di Bettinelli-Olpin e Gillett. Forse, ancora più facilmente, è lo stesso film, neanche troppo aggiornato al presente: ancora sonde volanti con cui misurare velocità pressione e temperatura dei tornado, ancora barilotti da mettere lungo le scie dei vortici perché venga aspirato il loro contenuto, ancora schieramenti che dei tornado vogliono sfruttare i dati o capilisticamente o per aiutare le vittime di questi poderosi disastri naturali. Ancora una storia d’amore che parte dallo scetticismo, tradisce uno status quo relazionale seppur a genere alternato – nel 1996 era Bill Paxton a lasciare un’ex partner per Helen Hunt, qui è Daisy Edgar-Jones a cercare Glenn Powell ai danni di Anthony Ramos – e permette di unire le forze per combattere i tornado. Questa volta, ed è la grande differenza dal film originale, per farli estinguere con intrugli chimici, e non semplicemente per prevederli e allertare la popolazione per tempo. Poco cambia comunque: eroi americani che al sense of wonder preferiscono il sense of danger, che da un lato permette a Lee Isaac Chung di costruire sequenze accattivanti in cui, diversamente da Jan de Bont, temiamo davvero per il destino dei personaggi, ma che dall’altro fa criccare il senso stesso dello spettacolo per come la Amblin Entertainment e il cinema di filosofia spielbergiana ce l’hanno sempre insegnato: felicemente postmoderno e fine a se stesso. Si parla di Spielberg perché Twister ne era un discendente diretto, seppur declinato in un’idea ancora più etica e umanista. Non è certo per difendersi da un gratuito parco dei divertimenti giurassico che i personaggi di Twister si mettevano in pericolo. E nemmeno in Twisters: qui l’investimento è umano, la meraviglia è soppiantata dall’identificazione nella natura di un nemico da combattere – si potrebbe parlare a lungo del perché negli Stati Uniti dei cicloni ancora si facciano case in cartapesta – e il rischio di morire non è più al servizio della conquista dell’inutile, ma al servizio di un sacrificio per una causa più grande. Forse perché per credere a personaggi che aspirano ad essere eroi romantici servono, banalmente, personaggi, laddove invece in Twisters Glenn Powell perde carisma non appena diventa buono, Daisy Edgar-Jones deve combattere il solito trauma-spiegone, e i comprimari tra cui Sasha Lane sembrano ridotti a pezzi del paesaggio (o a pezzi dei simpatici piani-sequenza di Lee), ancora a perlustrare l’interno anonimo del paese a stelle e strisce come in American Honey. Twisters è Twister che ha attraversato l’era dei supereroi e non ne è uscito indenne. In compenso sta ancora più nel passato che nel presente, visto che il twister hunter Glenn Powell trasmette le sue mirabolanti dirette streaming ancora su YouTube e non su Twitch.
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