Regia di Shawn Levy vedi scheda film
Ryan Reynolds, con il suo Deadpool, gioca costantemente con i limiti della quarta parete, portando il pubblico in un territorio dove il personaggio non è solo un antieroe, ma anche un narratore consapevole e dissacrante. Hugh Jackman ha definito Wolverine non solo come un eroe tormentato e tragico, ma anche come una forza inarrestabile, radicata in un codice morale ambiguo eppure indissolubile.
La combinazione di questi due attori nei loro ruoli più iconici non è semplicemente un'operazione nostalgica o commerciale, ma diventa una riflessione sulla dualità del cinema di supereroi: da un lato c'è la violenza e la crudeltà, dall'altro l'umorismo e l'auto-ironia.
La bromance tra Reynolds e Jackman non si limita ai confini della sceneggiatura, ma attinge alla vera amicizia che lega gli attori e il regista, alimentando una dinamica che è palpabile in ogni scena. Questa autenticità è fondamentale, poiché, come afferma il regista, la loro profonda connessione personale emerge in modo naturale, portando a una rappresentazione cinematografica della fratellanza che va oltre la classica rivalità tra Deadpool e Wolverine. Il sottotesto di amicizia e lealtà costruisce una narrazione che, sotto l'azione frenetica e i dialoghi sarcastici, racconta una storia profonda e universale: quella di due individui che, tra lotte e divergenze, trovano nel loro legame un'ancora emotiva.
"Deadpool & Wolverine" non si piega alle convenzioni del più casto Marvel Cinematic Universe, ma rimane fedele alla propria identità, spingendo sull'acceleratore del linguaggio irriverente. È interessante notare come Shawn Levy sottolinei che, pur operando all'interno di una macchina ben oliata come quella della Marvel, il film non perde la propria natura provocatoria. Da un lato, l'esuberanza verbale, con il suo flusso inarrestabile di battute e commenti metacinematografici, mantiene l'energia del film a livelli vertiginosi, offrendo una vera e propria festa per i fan del mercenario chiacchierone. Dall'altro lato, questa stessa densità di battute può risultare stancante, soprattutto quando si perde la freschezza del sarcasmo per lasciare spazio a uno sproloquio che non sempre mantiene il ritmo serrato che ci si aspetta.
L’idea di far saltare Deadpool attraverso il multiverso alla ricerca di una versione di Wolverine capace di salvare la sua timeline, poteva offrire sviluppi avvincenti. Ma il film, in un ironico colpo di scena, sceglie invece di presentare il Wolverine peggiore possibile: un anti-eroe caduto in disgrazia, appesantito dal senso di colpa e dal disprezzo di sé, pur in una versione nostalgica con il classico costume giallo e blu dei fumetti. Questo dovrebbe forse rappresentare un omaggio ai fan, ma sembra più un tentativo superficiale di sfruttare l'immaginario nostalgico senza dare profondità al personaggio.
La discarica postapocalittica in cui si svolge gran parte del film, risulta una metafora fin troppo facile dell’intero impianto narrativo: un cumulo di detriti culturali, riempito di volti familiari e cammei di personaggi Marvel, che però non aggiungono nulla di nuovo o significativo. Questa scelta di ambientazione non fa altro che limitare ulteriormente lo sviluppo della trama, trasformando il potenziale dramma in una collezione di battute che alla lunga perdono efficacia. Il Vuoto diventa così una sorta di limbo narrativo, dove anche l’antagonista Cassandra Mora, interpretata da Emma Corrin, non riesce a incarnare una vera minaccia. Il suo personaggio appare quasi come una caricatura di villain, che uccide chiunque osi rivolgersi a lei con epiteti spiacevoli, senza però una reale complessità psicologica o motivazione profonda. Cassandra rappresenta l'ennesima incarnazione di un villain potentissimo che, nonostante la sua potenza, si perde in una gestione inefficace del proprio piano malefico. Questo è un cliché già visto e rivisto nel genere supereroistico, dove l'antagonista viene dotato di un potere immenso ma, per ragioni che sfidano la logica narrativa, non riesce mai a concretizzare il suo scopo. Cassandra, pur dipinta come una forza quasi invincibile, si blocca in un eterno temporeggiare, incapace di portare a termine il suo piano di distruzione. È qui che la sceneggiatura mostra una delle sue debolezze maggiori: un antagonista potente ha senso solo se riesce a rappresentare una minaccia tangibile e in costante evoluzione, e non se viene relegato a mero strumento per giustificare gli eroi. Questo tipo di caratterizzazione impoverisce il film, riducendo Cassandra a un mero ostacolo temporaneo che, pur con le sue potenzialità, non riesce mai a raggiungere una profondità tale da rimanere memorabile.
“Deadpool & Wolverine” si perde in un vortice di auto-referenzialità, faticando a trovare una vera identità. In questo senso, la stanchezza di Wolverine (che porta sulle spalle il peso di un'esistenza costellata di fallimenti) diventa quasi una metafora del genere stesso, un mondo che si ritrova intrappolato in un ciclo di infinità narrativa, ma senza la forza di rompere veramente le catene del suo stesso schema.
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