Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Ombre e polvere. Di questo sono fatti gli uomini secondo Proximo (Oliver Reed). A distanza di 1/4 di secolo dal "Gladiatore" (2000), tale è la filosofia produttiva alla base del forzatissimo seguito. Sin dai titoli di testa animati, sulla scia di composizioni colorate, che si aggregano e disgregano secondo l'incedere del vento, assistiamo ad un breve riepilogo degli eventi di quel film. Il "Gladiatore II" (2024), vive di immagini-ombra del capostipite. Pallido riflesso della gloria - assai sopravvalutata per onor di cronaca -, del tempo fu.
Si ricalca la storia, le dinamiche, le vicende e gli snodi narrativi, fino a ricilare pari passo tre-quattro frame, dall'opera precedente, che viene praticamente rimessa in scena. Ma "una copia non è altro che un banale duplicato" ("Ghost in the Shell" - Mamoru Oshii 1995), quindi la reiterazione del passato, crea una dialettica in cui il presente, non è altro che un pallido riflesso della fonte originaria.
Le immagini del "Gladiatore II", sono vuoti simulacri de-privati di sostanza. Di quest'ultima, abbiamo solo la forma della sostanza, quindi un involucro vuoto fatto di vampirizzazione del precedente e ripetuti riti sottolineati.
Non c'è alcuna vitalità in personaggi, che vanno e vengono nell'arco delle due ore e mezza filmiche, perchè Ridley Scott, mira allo scheletro strutturale. Un'approccio minimale allo story-telling, caratteristica presente pure nel fallimentare "Napoleon" (2023) e prima ancora in "Exodus - Dei e Re" (2014), senza riuscire in tutto questo a far emergere "l'essenziale".
I personaggi sono figure che seguono il rapporto causa-effetto stabilito dal copione, senza mai un conflitto interiore o vissuto tangibile, nel vivere gli eventi a cui sembrano del tutto indifferenti. All'eroe Lucio (Paul Mescal) manca il viaggio. La sua parabola da generale nemico, a schiavo passando poi per i combattimenti nelle varie arene, non ha alcun pathos, nè costruzione, nè dinamicità.
Riecheggiano sulle sue labbra, le sagaci riflessioni di Tacito tratte dall'"Agricola" e l'epica poesia dei versi di Virgilio pescate dall'"Eneide", ma questo rende stridente l'impalpabilità dei dialoghi di Scarpa, che deve contribuire a far riemergere le ombre dei grandi della letteratura latina, per cercare di incidere nella mente dello spettatore un granello di ricordo in mezzo al niente.
Ad onor di cronaca, il povero anche il Marco Aurelio viene costretto a lavorare "da morto" come dialoghista, vedendosi prese di pari peso una citazione sulla vendetta tratta dalle sue "Meditazioni" (oppure "Pensieri" nei titoli italiani).
Tale profanazione, almeno serve ad abbozzare in Macrino (Denzel Washington), l'unico carattere di vago interesse con un proprio percorso narrativo (assieme forse all'Acacio di Pedro Pascal dai toni umanisti, ma decisamente maltrattato dalla penna di Scarpa). Tutto a livelli basici ovviamente, ma bisogna riconoscere al proprio interprete una certa scaltrezza "bizantina" nella recitazione, conferendo una vaga sostanza che a conti fatti, lo differenzia da Proximo, nella sua parabola ascendente in cui riecheggiano le moderne teorie revisioniste storiche americane in merito all'impero romano (su tutti Marco Aurelio razzista schiavista).
Il "Gladiatore", non era un gran film come già detto, ma godeva dalla sua uno dei casting più azzeccati per un blockbuster del nuovo millennio. Crowe/Phoenix - Mescal/Quinn-Hechinger. L'involuzione attoriale risulta palese. Si inizia con l'imberbe Mescal costantemente con i pettorali in mostra, quanto carente di ogni vitalità pulsante, mentre non basta moltiplicare gli imperatori in due (Geta e Caracalla) per virare su nuove strade, data l'inadeguatezza di scrittura, trucco scenico (terrificante il dente d'oro di Caracalla) e recitazione tesa alla macchietta effemminata (con una latente e fastidiosa omofobia), dove emerge tutta la tragica bassezza, rispetto al Commodo del titanico e morboso Joaquin Phoenix.
A poco contano gli strafalcioni storici (anche qui abbondanti e sbattuti in faccia, a mo di ripicca del regista contro le critiche già messe in conto), quando Ridley Scott e Scarpa non rispettano neanche le basi della loro stessa storia. Il ripescaggio dei personaggi del film precedente (Lucilla e Gracco) non ha peso drammaturgico, arrivando al peggio nella riscrittura abominevole, che stravolge del tutto l'attaccamento al "mos maiorum" di Massimo Decimo Meridio, senza neanche dare spessore filmico a tale scoperta.
Ci si attacca in tutti i modi ad un passato, che ritorna ossessivamente, rendendo ombre che vagano i vari personaggi, in cerca inutilmente di un'identità propria, capace di affrancarli dalla fonte originaria. Questo risulta impossibile data la pigrizia di una scrittura pigramente sciatta, una regia pressappochista (scritte in inglese al posto del latino) quanto visivamente sciatta - dopo i primi 10 minuti che sembravano porre ben altre basi visive sia terrene quanto metafisiche - ed un montaggio scriteriato, incapace di far respirare le varie sequenze, subito troncate quando stanno per raggiungere un climax interno.
Riesumare il cadavere è servito a Ridley Scott, per rifiatare ai botteghini, dopo tanti disastri al box office negli ultimi anni. Ma a conti fatti il regista inglese dovrebbe dare uno sguardo alla sua filmografia degli ultimi 25 anni (e anche più), per comprendere come non basti di certo una mano visiva superiore alla media (almeno talvolta, perchè qui anche negli effetti visivi tendono all'assai mediocre), per realizzare un'opera compiuta. Di costa resterà di tutti gli ultimi film di Scott, tolta qualche eccezione felice tipo "Last Duel" (2021)? Ombre e polvere, come tratto dal primo "Gladiatore" che nonostante tutto, almeno si lascia ricordare.
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