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Beetlejuice Beetlejuice

Regia di Tim Burton vedi scheda film

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La recensione su Beetlejuice Beetlejuice

di EightAndHalf
5 stelle

The afterlife is so randomic, l’aldilà è così randomico: lo dice Jenna Ortega mentre con la madre Winona Ryder si aggirano per i corridoi sbilenchi del mondo dei morti, i pavimenti quadrettati e non livellati, le pareti oblique, i mostriciattoli e i morti che accorrono agli sportelli dello stesso oltretomba burocratico del film che nel 1988 lanciò Tim Burton come la leggenda che è diventata. La costruzione di Beetlejuice Beetlejuice è infatti la perfetta concomitanza di burocrazia e morte, a cavallo fra operazione nostalgia puramente galvanizzante e necessità di aprire linee narrative e cercare di chiuderle, in un senso complessivo di frettolosa compiutezza al confine con l’amministrativo. Burton, talvolta con virtuosismi non scontati e concertati dal controcanto musicale di Danny Elfman, affolla la scena di personaggi e scenette divertenti consegnando loro però raramente lo spazio sufficiente perché si dispieghino e si risolvano, abbozzando così una sinfonia di singhiozzi, di risate miste a singulti, di generale confusione. Si apprezza il cinismo che sta alla base della sua più classica filosofia goth, con una tenerezza che è davvero sempre limitata al fronte del character design e non sfocia mai nella dimensione più profondamente umana dei suoi personaggi: tutti ingannano tutti, anche se stessi, e addirittura Tim Burton sembra “ingannare se stesso”, accennando esplicitamente alla vendita di se stesso alle piattaforme (Netflix, per cui aveva realizzato alcuni episodi di Wednesday con Jenna Ortega, e Disney citate esplicitamente) e trasformando la dote dalla giovane Lydia di Ryder, cioè vedere i morti, in uno spettacolo televisivo di cattivo gusto e macina-soldi nel bell’incipit. Ma il pastrocchio da coitus interruptus a cui il film costringe anche e soprattutto agli amanti del Tim Burton degli Anni Novanta è difficile da salvare davvero, spreca potenziale enorme (Dafoe ridotto a macchiettina dal risicatissimo screentime) e si tiene assieme a malapena spillato come i pezzi del corpo cadaverico ma giunonico di Monica Bellucci. Il finale, che sembra Burton dire addio ma invece torna sui suoi passi, minaccia il cliffhanger di un possibile (a questo punto) Beetlejuice 3 o, per meglio dire, “Beetlejuice Beetlejuice Beetlejuice”…

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