Regia di Osvaldo Civirani vedi scheda film
Un film che fece da apripista per i cuori solitari alla ricerca anch'essi di ragazze dalla pelle di corallo.
Dopo il discreto successo ottenuto con "Il pavone nero" (1974) ambientato a Santo Domingo, l'ex fotografo di scena Osvaldo Civirani chiude nella medesima location una modesta carriera registica con questo polpettone erotico non privo di spunti sociologici ancorchè relegati nell'alveo del peggior fotoromanzo.
Fabrizio Biagini (Gabriele Tinti), stanco del rapporto con la moglie Laura (Rosanna Schiaffino), grintosa ed emancipata donna in carriera, si reca nella detta repubblica caraibica al fine di allacciare rapporti commerciali con l'americano Barrymore, industriale del tabacco. Ne riveste la parte l'abituale villain dei nostrani spaghetti westerns Eduardo Fajardo, efficace come subdolo uomo d'affari, perennemente raffigurato con sorriso stampato a trentadue denti (finti) e immancabile sigarone.
Nel frattempo Fabrizio si invaghisce di Mayra, una giovane e fresca bellezza locale impersonata dalla stellina di colore Norma Jordan. Versione povera di Donna Summer e delle varie regine nere della disco-music ebbe una limitata fortuna nel nostro Paese come cantante e soubrettina di seconda fascia, prima di sprofondare come tante meteore nel più totale oblio.
Nella storia d'amore tra il fascinoso italiano e la procace "coloured" fa però la sua improvvisa e sgradita comparsa un losco portoricano che si scoprirà essere invischiato con Barrymore in un traffico di dollari falsi. La violenza sessuale perpetrata dal detto portoricano ai danni di Mayra in età postadolescenziale, viene rievocata da quest'ultima in flashback d'immagini onirico lisergiche che ci risultano più da baraccone che da incubo.
Il mediocre Osvaldo Civirani rispolvera ancora una volta i suoi trascorsi nei mondo movies a basso budget per sciorinarci, in paesaggi da cartolina, una vicenda in cui la matrice erotica, puntellata da alcuni nudi integrali della Jordan e da qualche altra scena moderatamente sexy, cede, per carenza di idee, ai facili registri del fumettone giallo poliziesco.
Il tutto è commentato da una dimenticabile colonna sonora fracassona e sviolinata a firma del tal Adolfo Weitzmann.
Eppure il film sembrava incanalarsi, almeno nella parte iniziale e con somma gioia per noi assertori del "weird", nei giusti binari del "politically uncorrect", impensabili per il cinema d'oggigiorno.
Sempre utilizzando la tecnica del flashback, il Tinti ricorderà la sua crisi coniugale con frame stops piazzati lì come i cavoli a merenda con una moglie in grado di passare con estrema disinvoltura dal vomitarci addosso ideologie femministe d'accatto al più retrivo razzismo: vedasi al riguardo l'avvertimento al marito di stare attento alle negre (sic!) in quanto piene di malattie (arisic!).
Intrisa di maldigeriti concetti sino a quel momento estranei all'italica visione della donna, la nostra non farà nemmeno troppa fatica a sconfinare nella più sconcertante ipocrisia e nel più bieco provincialismo: disposta a soprassedere al tradimento del marito, gli intimerà comunque di rientrare quanto prima in Italia, non tanto per recuperare un matrimonio ormai in frantumi ma piuttosto per salvare le apparenze ed evitare il pubblico ludibrio dei giudizi altrui.
I luoghi comuni e le frasi fatte con le quali la Schiaffino ci delizia a ogni sua apparizione si scontrano poi con i discorsi da gretta casalinga dell'eterna "oca giuliva" Isabella Biagini, alla quale pare bastante, nella sua disarmante ottusità, avere un uomo al fianco che le assicuri un po' di sesso e che la porti ogni tanto al cinema o a ballare.
In un convivio segnato dall'incomunicabilità fra le due donne (la finta evoluta e la sempliciotta) e dalla delusione di Fabrizio sostenitore di un rapporto tradizionale, si staglia il marito altrettanto ottuso della Biagini. Beota dagli occhi bovini e totalmente incapace di inserirsi nella discussione, non troverà miglior proposta, per stemperare la tensione, se non quella di trasferirsi tutti quanti al ristorante in grande allegria (mah!).
Nella cornice caraibica si segnala invece la serata al night club trascorsa da Fabrizio e da un altro amico italiano (il truccatore Marcello Di Paolo) in compagnia di Barrymore e della di lui consorte (la danese Lone Fleming); scalzando prepotentemente una danzatrice locale, la bionda scandinava, visibilmente alticcia, si esibirà in un delirante quanto inopportuno strip-tease provocando non poco straniamento e imbarazzo in tutti gli spettatori.
Purtroppo, anzichè insistere su atmosfere malate, ancorchè rese in maniera maldestra e personaggi negativi, il Civirani preferisce nostro malgrado concentrarsi su un rapporto edulcorato ai limiti dell'irritante fra i due protagonisti, dipinti come moderni e improbabili "Innamorati di Peynet" e riempire i buchi di sceneggiatura innestandoci una sottotrama gialla talmente raffazzonata da far cadere le braccia.
In definitiva, pur nel suo becerume, il Civirani, rivolgendosi alle platee di poche pretese e totalmente avulso da qualsivoglia intento autoriale, vorrebbe rivalutare, senza riuscirci, il ruolo d'un uomo ormai in crisi, sopraffatto da certa cultura o sottocultura post-sessantottina figlia degenere della liberazione sessuale, che sarà vissuta in maniera distorta, oltre che in netto ritardo, dal nostro proverbiale provincialismo.
Il desiderio di un'unione stabile con una donna "all'antica" spingerà in futuro alcuni poveri illusi dalle carenti esperienze sentimentali alla ricerca, spesso frustrata dalla dura e ben diversa realtà, di "ragazze dalla pelle di corallo" ingannevolmente presentate da sedicenti agenzie matrimoniali e variegato cialtroname, come meno avvedute e più legate al nostro tanto agognato focolare domestico.
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