Regia di Roman Polanski vedi scheda film
L'Olocausto, per definizione, viene declinato al plurale, da immane tragedia collettiva qual è stata. Rientrato dopo un'eternità nella "sua" Polonia e messo momentaneamente da parte il cinema di genere, Polanski opta per la trasposizione cinematografica di uno struggente romanzo autobiografico, quello del pianista Wladyslaw Szpilman (Brody), ebreo polacco col pallino di Chopin, le cui partiture esegue quotidianamente dagli studi di Radio Varsavia. Con una scelta stilisticamente felicissima, il film racconta la tragedia del popolo ebraico dal punto di vista del singolo, espropriato dei suoi beni, dei suoi affetti, del suo lavoro e quindi costretto alle umiliazioni più belluine, braccato dalla GESTAPO, ridotto alla fame e costretto a guardare quello che rimane della sua città e della vita dagli spioncini di ricoveri di fortuna, o dalla feritoia di una tendina. Lo accompagnano il bordone di un respiro che si fa sempre più affannoso, l'itterizia come effetto della mancanza di acqua e di cibo, il rumore sordo delle esplosioni e la convinzione di essere - nonostante tutto - più fortunato degli altri. Già, gli altri: un bambino che ha oltrepassato la muraglia del ghetto e che - in una delle scene più strazianti del film, tanto più suggestiva per lo stile ellittico col quale viene raccontata - viene massacrato da un militare, gli storpi costretti a danzare dai militari nazisti fino allo sfinimento, il cibo raccolto e leccato per terra, in una guerra fratricida tra poveri e diseredati.
Quello de Il pianista è cinema altissimo: per impegno civile, per la sobrietà con cui - a dispetto della materia - viene proposto il racconto, per la straordinarietà delle scenografie, che mostrano una Varsavia coventrizzata e ridotta ad una città fantasma ricoperta dalle polveri della cannonate, per il talento miracoloso col quale Adrien Brody impersona questo ebreo pieno di dignità, paradossalmente consapevole della sua fortuna, scampato all'implacabilità del martirio grazie alla pietà di un militare tedesco (Kretschmann) che, in un sottofinale da manuale del cinema, gli salva la vita portandogli anche dei viveri. Un film che, lacrime permettendo, andrebbe visto e rivisto, soprattutto in un'epoca nella quale nuovi regimi incombono.
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