Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film
Tutti noi ci sentiamo spaesati in un luogo che non conosciamo, ma ci si può sentire estranei, oltre che rispetto allo spazio, rispetto al tempo? Esistono realtà che si sottraggono ai consueti criteri di classificazione usati dalla storiografia, che ragiona da sempre in termini di anni e secoli, nazioni e territori, personaggi, movimenti artistici e mode? Sokurov, nel film, avanza l'ipotesi che l'indefinibile identità russa sia proprio di questo tipo: un contenitore privo di individualità, che, con il suo patrimonio culturale variegato e cosmopolita, racchiude uno spaccato della intera Europa. Due personaggi inquieti e dubbiosi, l'uno innominato, l'altro invisibile, vagano per le sale dell'Ermitage nel vano tentativo di riannodare i fili del passato, e trovando, invece, solo risposte parziali e contrastanti, che aggiungono complessità ed incoerenza ad un quadro di per sé già oscuro. Il viaggio attraverso l'edificio immenso e sontuoso del museo dà il senso di un vuoto che, però, è grondante di immagini suggestive e di simboli arcani. Ne deriva uno stordimento che è un misto di vertigine (provocata dalla vastità dei locali) e di ubriacatura (causata dall'affollamento di opere d'arte esposte e di eventi rievocati). Un film sull'alienazione culturale, vista come l'incapacità di un popolo di riconoscersi nell'ambiente circostante, dove il retaggio di ciò che è stato è un tesoro sì prestigioso, ma indecifrabile. La crisi della memoria che rende instabile il presente, e mina la fiducia nel futuro.
Una regia danzante, che convoglia gli effetti deformanti della prospettiva e il ritmo incostante delle riprese in movimento in una sorta di incantamento onirico: un sogno dentro cui ci trasporta, in volo, un unico, lunghissimo, piano sequenza mozzafiato.
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