Regia di Manoel de Oliveira vedi scheda film
Oltre due ore di camera fissa, sequenze lunghe interminabili minuti, dialoghi rarefatti ed eccessivamente letterari, colonna sonora minimale: come si può affrontare un film del genere senza farsi assalire dall'ansia? De Oliveira sa perfettamente (e ottiene) ciò che vuole: i suoi film ormai sono più simili a veri e propri quadri che ad immagini in animazione; sul piano concettuale, poi, è l'eterno scontro fra povertà e ricchezza, cioè fortuna vs. sfortuna (e sull'altro asse cartesiano fra bontà e malvagità) a farla da padrone. L'uomo, a quanto ne esce, è solo una vittima del destino, in un gioco - la vita - dominato dal principio dell'incertezza. Tutto si ritratta entro la fine del film. Profondamente intellettuale, eccessivamente lento ed in definitiva noioso. Il violino 'capriccioso' di Paganini è l'adatto sfondo musicale, gli scenari che scivolano via dal finestrino di un treno in corsa l'immediata metafora della precarietà, dell'inafferrabilità dell'esistenza.
Due amici fraterni sono cresciuti assieme, innamorati della stessa ragazza; uno è benestante e l'altro no. Adulti, la ragazza ha sposato il primo; il secondo fa affari loschi con una complice che diventa l'amante del primo. Ma c'è molto di più da sapere su questa intricata storia...
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