Regia di Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne vedi scheda film
In un laboratorio di falegnameria un uomo di mezza età insegna il mestiere a quattro giovani apprendisti usciti dal riformatorio, si fa pregare prima di accettarne un quinto, ne spia le mosse di nascosto. Dopo mezz’ora comincia un altro film, o meglio guardiamo lo stesso film con gli occhi del protagonista: quello è il ragazzo che cinque anni prima gli ha ucciso il figlio durante una rapina (lo stesso antefatto di uno dei miei film preferiti, Turista per caso). A questo punto non succede niente di ciò che potremmo aspettarci: non è una storia di vendetta né di riconciliazione, ma quasi una non storia in cui le cose, semplicemente, proseguono il loro corso; c’è un uomo che si era ormai rassegnato all’esistenza solitaria e dimessa nella quale lo vediamo immerso, e che a un certo punto si trova ad affrontare una situazione imprevista che lo turba e lo disorienta (lo mostra il concitato dialogo con l’ex moglie: “Nessuno lo farebbe” “Lo so” “Perché lo fai, allora?” “Non lo so”). Il dramma sociale e il dramma familiare sono inestricabilmente congiunti, come di consueto nel cinema dei Dardenne, ma questa volta il primo è come inghiottito dalle ellissi (le frasi smozzicate del ragazzo sulla madre e sul suo compagno, che non lo vuole in casa). Il secondo invece trova il finale più giusto, dopo il lungo faccia a faccia nella segheria: non un surrogato di paternità, ma solo due uomini che fanno il loro lavoro.
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