Regia di Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne vedi scheda film
Cosa rimane della realtà, se i suoi eventi sono delle casuali successioni di presenze e assenze, ripetitive freddezze e legnose situazioni, e gli uomini che abitano questa realtà sono immersi in essa senza alcuno scopo e, ancora di più, senza alcun tipo di retrospettive, di interiorità, di creatività? E' questa la mancata conclusione che analisi superficiali sull'iperrealismo dardenniano potrebbero prendere di fronte a un film così spoglio e crudo come "Il figlio", graduale e apparentemente statico avvicinamento fra un padre e un ragazzo, carneficie del figlio. Una storia semplicissima e lontana da qualsiasi futile tentazione narrativa o, ancora di più, qualsiasi tentazione sperimentale. La pura realtà, così come la vediamo noi, anche da più in basso di noi, nelle sua mancanza di sfaccettature. Ma come giustificare un finale del genere, visivamente spoglio ma così carico di tensione emotiva e stranamente commovente?
La verità è che l'opera dei Dardenne è una delle più strabilianti pellicole dell'arte cinematografica nella storia, una presa di coscienza illuminante e sconvolgente su quanto la realtà sia complessa e ricchissima di sfaccettature, di cambiamenti, di continue modificazioni. Il punto di vista dei due fratelli è in continuo movimento, tallona la realtà, la segue per come viene con grande capacità camaleontica, nascondendosi, riprendendo piccole azioni e movimenti, eventi normalmente esclusi da qualsiasi dimensione artistica, che non rientrano né nell'eccezionale né nella routine, ma nello straordinario microcosmo che chiamamo "normalità". La cinepresa dei Dardenne non è simile a quella del "Dogma 95", che era alle prese con uno scavo della realtà all'unico scopo di distruggerla; la cinepresa dei due fratelli belga non prende posizione, si destreggia senza posa come in armonia con un filosofico "panta rei" eracliteo, in funzione di un altissimo atto di coscienza, di come nell'immobilità tutto sia talmente mobile. Ed è sconvelgente come da una storia casuale (anzi, "ripresa" casualmente), i Dardenne arrivino a tanto assoluto, a tanta indefinitezza. Questo perché la realtà cela in superficie (ossimoro volontario) la sua magia e la componente irrazionale del sentimento, dell'emozione umana.
Gli uomini sono l'espressione irrazionale ma non istintiva della realtà, e la riempiono di commozione e pietà, compassione e a volte malvagità, di innocenza e ignoranza, la rendono complessa e allo stesso tempo bellissima. Non siamo sempre ipocriti e non siamo sempre cattivi, come non siamo sempre buoni né sinceri, siamo noi, cambiamo, interagiamo, scopriamo. Proviamo tensione per eventi importantissimi che per altri non valgono nulla. Siamo in un coacervo di relativismo assoluto, come se la casualità si opponesse alla nostra volontà, e questa opposizione fosse il criterio di comprensione del cosmo. Non stupisce quindi che uomini dell'antichità abbiano inventato religioni e costumi propri, non per spiegarsi le cose, ma per dare un nome "vero" alle cose, che non si fermasse a una fredda constatazione. L'uomo ha l'unico pregio vero di essersi accorto di quanto splendore esista e di quanto noi lo nascondiamo per scropoli di coscienza, per paura di noi stessi, ma che con un coraggio non da poco andrebbe rivoltato, portato alla luce ancora di più di quanto non risulti normalmente. Sorgono così per caso iconografie cristiane come la figura della "Pietà" in una scena di questa grandissima opera d'arte, sorgono dal nulla, dal basso del grigiore urbano, ma sono espressione di una complessità che supera e schiaccia sotto di sé certezze scientifiche e razionali. L'ignoto che dobbiamo accettare, quel sentimento che ci porta al perdono del nostro carneficie, alla possibilità di creare affetti e commoventi relazioni, per evitare nichilismo e sbagliatissimo pessimismo. "Il figlio" dei Dardenne ispira calore, conforta senza illusioni, non scopre la felicità ma tallona il compromesso fra le numerose parti di noi, ci guarda da fuori e nelle cose che facciamo scopre il nostro dentro, dal semplice aiutare con una lastra di legno ci fa capire profondità abissali. I loro personaggi sono veri, banali esempi di umanità straordinaria.
Un film talmente sottile e magnifico da non sembrare vero.
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