Regia di Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne vedi scheda film
Il cinema dei fratelli Dardenne si fa sempre più radicale ed estremo. All'apparenza semplicissimo (la traccia narrativa, come di consueto, è basilare, un puro pretesto), in realtà denso di significati profondi. "Il figlio" è un'autentica sfida per lo spettatore, soprattutto nella prima ora, quando la macchina a spalla dei registi lo obbliga, ancora una volta, a pedinare il protagonista Olivier, facendo proprio il suo sguardo e il suo agire, non i suoi più intimi e contradditori pensieri (i registi sono abili nel lasciare sospese, enigmatiche le intenzioni di Olivier). La mancanza di musica, i continui rumori della falegnameria dove l'uomo lavora, la ripetitività delle sue azioni e la quotidianità dei suoi gesti accentuano questa (sovr)impressione. Il risultato, soprattutto alla luce dei due precedenti lavori, "La promesse" e "Rosetta", non sembra aggiungere nulla di nuovo nel loro percorso filmico, rendendo la visione quanto meno problematica, ostica, a tratti persino ridondante e risaputa. Poi, a partire dal viaggio in macchina di Olivier e Francis verso la segheria, il confronto tra i due si fa più serrato, le verità a lungo nascoste e trattenute vengono a galla, le reali intenzioni di Olivier si manifestano in tutta la loro essenzialità, inconsciamente quasi nella loro purezza. Un film che probabilmente va rivisto per capirlo ed apprezzarlo davvero. Cinema arduo, mai banale, freddo, osannato dalla critica, senza distinzioni. Forse l'entusiasmo per i Dardenne è eccessivo. Forse non ho la sensibilità e le competenze necessarie per amare nella sua complessità il film, pur percependone il suo alto valore etico, civile, quasi spirituale e l'assenza di presuntuosi intenti pedagogici. Forse l'enormità di un dolore lancinante e di una tragedia senza eguali quale può essere solo la morte di un figlio necessita di quei silenzi devastanti che invadono l'esistenza solitaria, meccanica, infelice e assente di Olivier. Forse per rielaborare il suo lutto Olivier ha bisogno di conoscere e parlare con il giovane assassino di suo figlio, cercando di capire per poi eventualmente perdonare, anche se la risposta che Francis gli dà quando l'uomo gli chiede "Ti dispiace?" è tutto fuorché l'ammissione di un rimorso: "Cinque anni dentro, certo che mi dispiace!" La sensazione è che "Il figlio" sia senza dubbio interessante e umanamente ricco di sfumature ed implicazioni: a fine visione però si prova distaccato rispetto più che convinta e partecipe ammirazione. In ogni caso superba la prova di Olivier Gourmet, premiato a Cannes quale miglior attore.
Voto: 7
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