Regia di Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne vedi scheda film
“Il figlio” è un film con cui i fratelli Dardenne perpetrano il proprio modo di fare cinema. Cinema minimalista, privo dei tecnicismi moderni, particolarmente lento, asettico. La trama parla di Olivier (Olivier Gourmet) e della sua vita piatta ed infelice: col figlio assassinato 5 anni prima e la moglie che lo ha lasciato ed ora si sposa con un altro (dal quale tra l’altro aspetta un bambino). Nella fabbrica di falegnameria in cui tiene quotidianamente corsi di formazione, un giorno arriva il ragazzino che uccise suo figlio…
La pretesa dei Dardenne non è quella, classica, di raccontare una storia, ma quella, proibitiva, di immedesimarsi nel personaggio principale. Per fare ciò, i registi francesi utilizzano la tecnica del “terzo occhio”: un perpetuo pedinamento della macchina da presa, che segue Olivier costantemente: tantissimi i piani sequenza, con carrello a seguire con protagonisti la nuca ed il collo di Olivier. È un processo estremistico con funzioni specifiche, che esulano da quelle che sono le regole del cinema classico. Quando Olivier è in macchina la camera non inquadra la strada, né l’auto, né Olivier di profilo: rimane sulla nuca, sull’orecchio, sul collo del protagonista. E spesso la camera continua a riprendere azioni banali, azioni che chiunque altro avrebbe omesso.
103’ di inquadrature atipiche, anche scomode, che alla lunga sfiancano anche il più paziente dei fruitori. Accade qualcosa altrove, ma la macchina da presa rimane su Olivier. Il campo e controcampo non si sviluppa attraverso il montaggio, bensì con un movimento asimmetrico della camera a mano.
Non c’è montaggio in senso classico, le inquadrature sono costantemente claustrofobiche, non un dialogo serrato, non un alterazione della storia, non una nota musicale. Titoli di testa e di coda compresi. Il film si apre e si conclude nel bel mezzo dell’azione di Olivier. Sembra quasi che i titoli di testa e coda tronchino l’azione. Un’intromissione nella vita costante e senza sussulti di Olivier.
I Dardenne insomma ci provano a creare un cinema atipico. Alla fine ne viene fuori un cinema “dogmatico” (alla von Trier, per intenderci): un cinema che tramortisce o addormenta chi non è preparato alla loro sfida, ma riesce ad alimentare le speranze di coloro credono che un cinema diverso sia possibile
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