Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film
Laconico e sommesso, lo stile di Kaurismaki nel raccontare le ordinarie vite di ordinari personaggi è affascinante in un modo (mondo) tutto suo: le sue storie (anche qui la sceneggiatura è opera del regista) permangono dall’inizio alla fine lievemente sotto le righe, dalla recitazione alle situazioni, perennemente a un passo dall’improbabile, tanto da risultare nel loro complesso assolutamente verosimili. La psicologia di fondo dei personaggi, sempre ben definita nonostante le scarse nozioni concrete che ci vengono fornite sulle loro vite, aiuta in questo film più che altrove nel cinema di Kaurismaki a farne delle figure idealtipiche: il reietto, la salvatrice, il rapinatore, la cassiera, i banditi e via dicendo: tutti perfettamente inquadrati e tutti vivacizzati da quel tocco surreale/grottesco che è il marchio di fabbrica dell’autore. Che questa volta è più solare e positivo del solito, a partire dalla fotografia (come sempre, opera di Timo Salminen) ricca di colore, probabilmente la più viva dell’intera sua filmografia; il consueto ‘lieto fine’ che accontenta piuttosto che chiudere il cerchio della storia è un altro dei punti forti (e fermi) del regista. Markku Peltola, già apparso in Nuvole in viaggio (1996) e Juha (1999), è l’ottimo protagonista, abile nel conferire l’aria di meditabonda afflizione al suo kafkiano (si chiama pur sempre M!) personaggio; Kati Outinen, musa di Kaurismaki e presenza fissa o quasi nelle sue pellicole, viene premiata per questo ruolo a Cannes, dove il film si aggiudica anche il Gran premio speciale della giuria e il premio della giuria ecumenica (ma miete riconoscimenti in tutto il mondo, non ultima la nomination all’Oscar come miglior film straniero). Al termine della visione de L’uomo senza passato viene insomma da domandarsi, con curiosità prima ancora che con preoccupazione: è davvero questa la vita reale? Sì: è la maniera più naturale e coerente in cui possano accadere le cose più assurde e immotivate. In un mondo in cui la forza di volontà si accoppia felicemente a quella del destino, in un ‘umanesimo fatalista’ che è la chiave di lettura di tale mondo secondo Kaurismaki. E se la doppia vita del protagonista è in entrambi i casi un’esistenza piatta e banale, d’altronde neppure sembra che egli nutra particolari pretese o richieste da essa; in fondo L'uomo senza passato non è nè un eroe, nè un antieroe, ma soltanto un uomo. Mediocre, timoroso, fiducioso, sperduto e senza la battuta pronta o la soluzione facile ai problemi: un uomo. Come sempre nel cinema del regista finlandese, laddove non arrivano i dialoghi entra di prepotenza la musica, qui spesso utilizzata anche al di fuori fuori dal contesto narrativo (extradiegetica), a creare atmosfera e a sostituirsi al silenzio o a riempire i dialoghi scritti – nessuna novità – con precisione chirurgica. Parlando di quest’ultima caratteristica, basti pensare alle battute di chiusura, pregne di un romanticismo straziante eppure servite con la sopra citata recitazione bolsa, indolente tipica dei film di Kaurismaki: “Ho avuto paura” (lei a lui, tornato per vivere la loro storia d’amore insieme); “Senza ragione”, ribatte lui. E si incamminano al di là della ferrovia, in un’uscita di scena senza sorriso, senza morale strettamente intesa, senza effettiva apertura al futuro, ma del tutto fiabesca. 8/10.
Un uomo di mezza età arriva in città; aggredito da alcuni malviventi, si ritrova all'ospedale in fin di vita. Quando si riprende, però, ha smarrito la memoria di sè. Ricomincia una vita grazie all'Esercito della salvezza, del quale fa parte una donna di cui si innamora, ricambiato; trova una baracca in cui alloggiare e un lavoretto per sopravvivere. Poi all'improvviso torna a farsi viva la moglie, che lo ha rintracciato grazie alla polizia: che ne sarà dell'uomo e della sua seconda vita?
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