Regia di Nicole Garcia vedi scheda film
Jean-Marc Faure mente da quindici anni. Su tutto. Sul suo lavoro, sul suo conto in banca e sul suo amore. Eppure lo fa talmente bene che nessuno se ne è mai accorto; fin quando una serie di eventi si concatenano tragicamente e lo costringono ad un gesto sconvolgente e crudele che sbaraglierà le carte, pur di non scoprirle.
Questo terribile fatto di cronaca accaduto nel 1993 scioccò talmente tanto l’opinione pubblica francese che, nel giro di pochi mesi, a distanza di anni dall’evento, vennero prodotte due pellicole sullo stesso tragico evento, o quantomeno ispirandosi ad esso. Questa è una, l’altra è A tempo pieno di Laurent Cantet, che spero di recuperare a breve.
Avendo già letto l’omonimo romanzo di Emmanuel Carrère sapevo già cosa aspettarmi; l’unica cosa sconosciuta era la forma con cui la regista Nicole Garcia aveva deciso di metterlo in scena e, devo ammettere, che la lettura del romanzo, sicuramente perché la lettura è senza dubbio forma più intima e in parte anche perché, conoscendo la trama, il mio stupore era stato occluso, è risultata più sentita e sconvolgente.
Ma la “colpa” di questa mancata empatia con la storia narrata non è da rilevarsi solo nella conoscenza della storia ma piuttosto nel modo, freddo e asettico, con cui la Garcia decide di mostrarci il fatto. Non solo esclude ogni antefatto legato all’infanzia o piuttosto eventi antecedenti al violento pluri-delitto ma evita anche di anche solo accennare all’infanzia e all’adolescenza dell’uomo che potrebbe quantomeno dare delle basi al lapsus terribile che sembra aver guidato la sua mano omicida.
È solo grazie all’ottima interpretazione di Daniel Auteuil se la narrazione prosegue senza collassare su sé stessa. Il suo algido modo di fare e il suo sguardo austero pur non creando empatia con lo spettatore forniscono al protagonista la caratterizzazione necessaria a “giustificarne” i comportamenti inspiegabili.
Anche se non ci inceppa mai nei meandri della noia, L’avversario sembra più un’appendice del romanzo che un film a sé stante. Per chi non ha letto l’opera di Carrère diventa difficile, direi anche impossibile, entrare nel racconto con trasporto. Considerando i fatti e l’opera dal quale deriva mi aspettavo decisamente di più.
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