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Ebbro di donne e di pittura

Regia di Im Kwon-taek vedi scheda film

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La recensione su Ebbro di donne e di pittura

di Bebert
9 stelle

Questo film ha vinto il Premio alla Regia al Festival di Cannes 2002: tuttavia non ha avuto successo al botteghino e non è reperibile se non in videocassetta. Mentre opere occidentali hanno una diffusione spropositata (e inconcepibile), accostarsi alla cultura coreana pare poco allettante. Il regista Im Kwon-taek, nato nel 1936, è autore di una quantità enorme di film commerciali, poi di venti pellicole d’autore.

 

“Ebbro di donne e di pittura” (Painted Fire) è un’opera eccellente, tratta dal romanzo “Colpi di Fuoco” di Ming Pyong-sam, narra la vicenda umana e artistica di uno dei massimi pittori coreani del XIX secolo: Jang Seung-eop detto Owon (1843-1897). Nato in povertà e orfano, mostra precocemente un’attitudine straordinaria per il disegno accomunata a un temperamento particolare: refrattario alle regole, spesso contraddittorio, poiché deve adattarsi ad una società arretrata e “chiusa” nelle tradizioni da cui vuole uscire ed essere se stesso, con pregi e difetti. Incline all’abuso di alcol e innamorato delle donne di cui si circonda, di cui non può fare a meno per saggiare il mondo, che poi traduce nelle proprie opere grafiche.

 

Ora, comprendere quale sia il senso del disegno per un artista nato sotto la dinastia Joseon, educato coi principi del Confucianesimo e vissuto in un periodo politico drammatico è alquanto complicato: quello che ho inteso è che il disegno di Owon non mima la realtà oggettiva, non la ritrae, ma cerca di ricostruire il rapporto dell’uomo col mondo: nelle opere non è trasposto ciò che “si vede”, ma ciò che “si sente” ed anche il sentimento di appartenenza alla terra del soggetto, che entra così nell’opera e la influenza. Il pittore ha sentimenti propri ma cerca di far vivere anche l’animo di chi o cosa ritrae.  

 

Owon è tormentato da quello che può rendere insincera la propria arte: la casta corrotta, i mercanti, i committenti e soprattutto le intrusioni di culture estranee. Da Occidente la Cina e da Oriente il Giappone. Questi imperi cercano da secoli d’invadere la terra di mezzo coreana e si alternano nell’invaderla: nel 1876 la dinastia Joseon si dà per vinta. Giungeranno anche gli occidentali, gli inglesi e il paese perderà completamente l’indipendenza ed anche parte della propria cultura. Quindi il flusso di opere orientali che tanto dilettano gli europei della seconda metà dell’’800 è anche il momento di una tragedia sociale e politica. Mentre nascono interessi, anche onesti, per le culture dell'Asia, là si consumano guerre e stragi. Nel 1866 i cristiani convertiti dai missionari francesi, sono massacrati a migliaia: decapitati e le teste esposte su treppiedi, mentre noi occidentali vediamo, per esempio, la “decorazione” e nasce l’Art Nouveau, là c’è un mondo devastato.

 

Owon è geniale, cerca di depurare la propria arte da ogni influenza e in più, cerca anche di mettere il proprio segno, di mettere se stesso e l’amore che prova, come sentimento di unione, di compartecipazione. Squassato dai sentimenti e stregato dalla natura dipinge cercando la catarsi. In questo lo comprendiamo, credo: ogni disegno finito lascia un foglio bianco, su cui dipingere ancora, fino alla fine. Il paragone con gli “artisti maledetti” occidentali viene immediato ma solo in parte troviamo una vera comunanza: Owon non si autodistrugge, adora l’esistenza tutta e serve i sovrani fino a che vuole, oppure fino quando è possibile. Disdegna i committenti e sostiene che la committenza è madre “d’opere nate morte”. Riceve denaro ma è capace di usarlo in una notte di piacere, non accaparra, non accumula. Anche la sua morte è presunta, nel 1897 scompare e ci sono leggende a dirci cosa possa essergli realmente accaduto.

 

Choi Min-shik è l’attore che interpreta magistralmente il protagonista, in questa biografia romanzata e senza fantasie mediocri, indimenticabile nel capolavoro Oldboy, copiato recentemente (e inutilmente) da Spike Lee.

 

La fotografia di Il-sung Jung, ci regala paesaggi straordinari, interni e momenti di vita locale, non per un “guardare strabico” che si pronuncia “contemplazione”; è forse simile a quello che vide Owon, che ebbe la volontà di stare davanti al mondo senza possederlo, al contrario, esserne parte. Il suo puro desiderio di conoscenza è un atto di generazione, di creazione - come il sole e il fuoco diradano il buio e sono innocenza - e desiderio di dare (la) vita. 

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