Regia di Elia Suleiman vedi scheda film
Essere in grado di fare dell’umorismo non a buon mercato su una tragedia che continua a bagnare di sangue quella striscia di terreno mediorientale dove a tutt’oggi il significato stesso della parola “pace” è costantemente ignorato non è impresa di tutti i giorni. Simili predisposizioni bisogna sentirsele dentro come fuoco che cova sotto la cenere, farle emergere a poco a poco a fior di pelle perché la materia è quanto di più delicato si possa immaginare. D’altra parte ironizzare sulle proprie disgrazie richiede una fortezza d’animo non indifferente, frammista ad un innato senso dell’umorismo e ad un’appiccicaticcia voglia di piangersi addosso a mo’ di sberleffo, doti queste necessarie alla realizzazione di un ibrido quale questo “Intervento” che di “divino” non ci mostra granché per nostra fortuna, dal momento che in ogni rappresentazione a sfondo mediorientale degna di nota il soprannaturale diventa fatalmente sinonimo di “guerra santa”. In nome di una ripetitività elevata a sistema ed a spese di un ritmo alquanto carente Suleiman indulge pedissequamente nella prima parte dell’opera in un’esasperata dilatazione di tempi filmici ed in un susseguirsi di piani sequenza contraddistinti da un’immobilità cronica, moltiplicando all’infinito anonime scene di vita giornaliera caratterizzate dalla quotidianità tipica di gente colta in tutta la sua irrequietezza. Ma le reiterate sequenze di un adolescente che gioca a pallone, di vicini di casa che si scambiano per ripicca i sacchi della spazzatura, di gente in attesa di autobus che non si degnano di arrivare, proprio a causa del loro carattere di ordinarietà contribuiscono a creare un’atmosfera di aspettativa che si concretizza inaspettatamente nella seconda parte del film in un più libero sfogo della fantasia, finalmente svincolata dalle briglie di una forzata ghettizzazione e lasciata libera di scorazzare a tutto campo. Ed a questo punto anche la tragicomica disfatta di un pugno di maldestri soldati israeliani ad opera di una devastante eroina palestinese apparentemente concepita come una apparizione soprannaturale (di qui il richiamo all’intervento divino?) può suonare come un controsenso in un’opera che si propone di divulgare un messaggio di pace tramite l’effige di Arafat impressa su un palloncino sorpreso a sorvolare il territorio israeliano. O magari grazie alla sublimazione in punta di macchina da presa di una storia d’amore di frontiera, presumibilmente autobiografica.
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