Regia di Tsai Ming-liang vedi scheda film
"Laggiù" è la dimensione in cui vivono gli altri, che difficilmente è sincronizzata con la nostra, ed è basata su tutt'altra visione della realtà. Se a Parigi è notte quando a Taiwan è giorno, è proprio vero che la distanza tra gli individui non è solo separazione nello spazio che ostacola la comunicazione, ma è anche e soprattutto uno sfasamento orario, che produce una diversa percezione dell'istante, impedendo alle vite di incrociarsi. I personaggi di Tsai Ming-liang appaiono come incapsulati in una nicchia trasparente, che li isola dal resto del mondo, a cui sembrano guardare come pesci attraverso le pareti di un acquario. Gli echi delle loro esistenze si rifrangono nell'acqua e nel vetro e giungono, smorzati e deformati, alle presenze esterne. L'accostamento a "I quattrocento colpi" è quanto mai illuminante: l'equivoco temporale contenuto nel capolavoro di Truffaut riguarda
i gesti dell'adolescente Antoine, ancora infantili nelle sue intenzioni, e che invece assumono, agli occhi degli altri, la drammatica portata delle azioni di un adulto.
Come ne "Il fiume", la sofferenza ritratta da Tsai Ming-liang è, per definizione, solitaria e incomunicabile, trattenuta da sorta di schermo impenetrabile che racchiude l'individuo. Le lunghe pause della sceneggiatura, in cui il film indugia nel vuoto e nel silenzio di ritratti pressoché immobili, sono, in realtà, piene dell'invisibile fremito di una vita interiore, intraducibile in parole e gesti.... Il tempo gira, come la ruota panoramica di un luna park, e noi, che occupiamo i seggiolini, attraversiamo insieme, lentamente, lo stesso arco di cielo, senza, però, incontrarci mai.
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