Regia di Volker Schlöndorff, Margarethe von Trotta vedi scheda film
Nello spazioso regno delle libertà collettive c’è posto per i soprusi dei potenti, ma non per i diritti individuali dei deboli. Lo sciacallaggio giornalistico che foraggia le major dell’editoria ne fornisce la dimostrazione per quanto concerne la libertà di stampa: per fare sensazione (e quindi vendere i giornali) il cronista d’assalto non esita a violare l’altrui intimità, fino a ferire profondamente i sentimenti delle persone coinvolte. Katharina Blum è l’indifesa vittima della politica commerciale dei tabloid, che prendono spunto dai drammi personali per costruire storie scabrose: la verità è sacrificata alla necessità di creare suspense, e come in un giallo, ciò che non è noto, anziché essere taciuto, è presentato come quel lato oscuro da cui promettono di emergere inquietanti rivelazioni. I quotidiani come la Bild-Zeitung spacciano per testimonianza ciò che è solo una forma spicciola di letteratura popolare: sarà per questo che, per contrasto, Heinrich Böll - autore del romanzo da cui è tratto il film – articola il suo racconto di finzione come un rapporto scaturito da un collage di verbali di polizia, trascrizioni di interrogatori, documenti processuali. La sua lingua persegue, con uno scrupolo quasi maniacale, la varietà, la precisione, e la ricchezza di sfumature lessicali, con una raffinata complessità sintattica che si erge, con ironica alterigia, al di sopra del fraseggio banale e preconfezionato dei fogli scandalistici. Non è certo un caso se gli sceneggiatori Volker Schlöndorff e Margarethe von Trotta ne riportano testualmente quelle parti che maggiormente insistono sulla proprietà dei termini, sulle implicazioni concettuali insite nella scelta di una certa parola, sulle cruciali distinzioni che separano espressioni dal suono simile - come gli aggettivi zudringlich (invadente) e zärtlich (tenero), i verbi berichten (relazionare) e gerichten (giudicare) - oppure dal significato analogo, come Herr (signore) e Mann (uomo). Laddove, però, lo scrittore tedesco gioca sapientemente con la forma, i reporter da strapazzo giocano incoscientemente con i contenuti, che pure sono intrisi di carne, lacrime e sangue. Quella che, con un efficace neologismo, oggigiorno chiamiamo gogna mediatica, non è un espediente politico di recente invenzione. E’, invece, un’operazione di marketing che infiamma e monetizza un ancestrale fenomeno di massa, ossia il gusto di denigrare pubblicamente il singolo oggetto riconosciuto come deviante o pericoloso, per sentirsi tutti forti e uniti intorno alla confortante sicurezza di essere buoni e giusti, avendo la legge ed il diritto dalla propria parte.
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