Regia di Marcus Adams vedi scheda film
E alla fine non ne rimase più nessuno… Nel corso degli anni, l’horror inteso come genere cinematografico è andato trasformandosi in un tunnel degli orrori per giovanotti a caccia di brividi gore e si è quindi riassunto nella formula del prodotto targhettizzato: teen-agers protagonisti, paure messe in scena senza tanti complimenti (altra cosa la raffinatezza di Jacques Tourner che sapeva terrorizzare con un cambio di illuminazione), schema narrativo fisso a “eliminazione” (il precedente illustre qui sono gli “indiani” della Christie). “Long Time Dead” è un perfetto esempio della genia cresciuta a “Venerdì 13” per arrivare a “Final Destination”, con il postscriptum interessante del paese di produzione: non Hollywoodlandia, ma il Regno Unito; cosa che ha solleticato le memorie storiche dei cultori della Hammer. Dando mano libera ad una specie di Jack the Ripper ectoplasmatico, evocato da una seduta spiritica incauta, goticheggiante ma con un occhio a “X-Files”, “Long Time Dead” si limita a raccogliere le carte dal tavolo dell’horror “vulgato”, senza rimescolarle a dovere. Da un certo punto di vista, anzi, il film diventa è il luogo geometrico del genere, anche sia in senso narrativo che “reale” (si pensi alle ambientazioni: il seminterrato degli orrori, l’edificio post-industriale, la vecchia casa in legno tutta spifferi e scricchiolii, il manicomio criminale…). Dalla sua ha comunque un piglio scattante e cattivo e una consapevole padronanza dello stereotipo che nel classificarlo come ennesimo viaggio nel tunnel dell’orrore del cinema-baraccone valgono comunque al film il prezzo del biglietto.
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