Regia di Dean Deblois, Chris Sanders vedi scheda film
La Disney prosegue sulla via del rinnovamento, spesso impervia e segnata da dolorosi insuccessi, ma stavolta la Casa del topo sembra aver colto nel segno. Anzi, questo film evidenzia in modo esemplare il fil rouge che sembra da un po’ di tempo legare insieme il mondo dell’animazione, ovvero il bisogno primario di famiglia e di affetto. È curioso notare come in tutti i film usciti negli ultimi mesi non esistano madri, ma solo famiglie anomale disfunzionali, così come quella dell’orfanella Lilo, allevata dalla sorella Nani. La sua vita cambia solo quando incontra l’alieno Stitch, infaticabile distruttore di ogni cosa fuggito sulla Terra, frutto di un esperimento genetico malriuscito e come lei emarginato nella sua condizione di “diverso”. Nell’ingenuo e ripetitivo aggrapparsi di Lilo all’ohana, parola che esprime il concetto tutto hawaiano di famiglia in cui nessuno viene abbandonato o lasciato indietro, si avverte il bisogno di tornare a un mondo degli affetti che sia in grado di avere cura delle persone come solo una madre può fare. Quando Stitch, domato dal candore di Lilo e dal calore della sua famiglia, dice a coloro che lo stanno braccando per riportarlo sul suo pianeta «questa è la mia famiglia… è piccola e disastrata ma bella, molto bella», il miracolo è compiuto. È forse in questa scelta d’amore il senso segreto del film, arricchito dalle canzoni di Elvis e da un nugolo di citazioni che faranno felici i cinefili.
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