Regia di Pietro Germi vedi scheda film
Signore e signori appartiene alla seconda maniera di Pietro Germi, dopo che Monicelli lo aveva “traviato” verso la commedia: ma il ritmo serratissimo e scoppiettante, insieme alla deformazione grottesca, sono armi acuminate nelle mani del severo moralista che ritrae una borghesia trevigiana abbastanza terrificante, in cui tutti sono pronti a tradire sempre – l’amico e il coniuge, e specialmente il coniuge col coniuge dell’amico – e a corredare il tradimento di cachinni e sberleffi. Qualcosa dei Vitelloni, a cui possono far pensare i maturi perditempo che stazionano al bar di piazza dei Signori e vi costituiscono una platea stabile e feroce, qualcosa della Dolce vita, però in versione provinciale e più greve. Ma anche il popolo fa la sua figura: una minorenne di campagna si lascia corrompere da tutta la congrega dei buontemponi locali, in cambio di regalini, scarpe alla moda, e quando scoppia lo scandalo, perché la ragazza li ha indicati e denunciati uno per uno, è proprio la moglie di uno di loro a sistemare la faccenda portando cinque milioni cash al contadino padre della ragazza, che li accetta subito ma pone l’ulteriore condizione di possedere seduta stante la graziosa signora, lì nel fienile. Accetta anche lei, e si capisce che il rustico partner non le dispiace affatto. Il film diede parecchio fastidio ai trevigiani, che pur avendo fama di gaudenti non si vollero riconoscere in tanto cinismo. Tuttavia quel bar sulla piazza, osservatorio e palestra per il diuturno esercizio della maldicenza e del feroce sarcasmo reca ancora, fra le insegne, il titolo del film.
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