Regia di Pietro Germi vedi scheda film
Pietro Germi è stato uno dei nostri registi più "impegnati" nell'ambito della commedia di costume che venne rapidamente ribattezzata "all'italiana" dopo il successo del suo capolavoro del 1962 con Marcello Mastroianni. Se in quel caso l'ispirazione di Germi traeva la sua linfa vitale dal risentimento contro il delitto d'onore, pochi anni dopo, nel 1966 e nel Veneto, Germi conclude la sua ideale trilogia satirica contro il malcostume italico con questo "Signore e signori", che è un attacco frontale al matrimonio visto come ipocrita facciata dietro cui cova l'insoddisfazione e l'alienazione che portano a una serie pressoché infinita di "corna", anche se poi alla fine l'ordine sociale viene sempre ristabilito, spesso in maniera violenta. "Signore e signori" è una satira al vetriolo che adopera un grottesco per certi versi paragonabile a quello di Ferreri in "L'ape regina", un film molto pessimista sul rapporto uomo/donna, concepito qui essenzialmente come rapporto di sfruttamento e sopraffazione, e infine un ennesimo attacco all'ipocrisia della provincia italiana, qui più specificatamente veneta, che soprattutto nel terzo episodio arriva a una denuncia durissima che non ha paura di scagliarsi perfino contro la Chiesa. Il film, premiato all'epoca con una Palma d'oro a Cannes ex-aequo con "Un uomo, una donna" di Lelouch, risulta oggi piuttosto rimosso come opera "scomoda", eppure si tratta di uno dei film più coerenti dell'autore, uno dei più felici nelle invenzioni narrative, anche uno di quelli con una regia più vigorosa ed efficace. Fra i tre episodi, il primo è forse quello più "sbrigativo" e di minore spessore, pur caratterizzato da una felice vena corale e da dialoghi comunque sapidi e taglienti. La presenza di Alberto Lionello mi ricorda certe commediacce successive dell'attore come "La vergine, il toro e il capricorno", pure incentrata sul tema delle corna, ma inutile dire che qui siamo ad anni luce di distanza da quei tristi esempi di commedia sexy; un po' sopra le righe alcuni attori come Gigi Ballista e Beba Loncar, anche se la sceneggiatura rimane vivace e movimentata. Il secondo episodio è il più lungo e curato, sicuramente il più intenso e poetico, con una magistrale descrizione d'ambiente e una incisiva caratterizzazione dei personaggi, benissimo interpretati in particolare da Gastone Moschin e Virna Lisi. Anche la moglie asfissiante di Nora Ricci rientra in una ideale antologia di "mostri" della provincia che porterà ad altre pellicole come "Amici miei"; nel secondo episodio la virulenza grottesca è leggermente attutita in favore di una scrittura più empatica ed emozionale, anche se non muta il pessimismo di fondo. Il terzo episodio invece è, come si accennava in precedenza, quello dove la denuncia si fa più scoperta e il giudizio morale dell'autore più duro, con un caso di abuso sessuale di gruppo messo a tacere con cinque milioni e la complicità di influenti vescovi nel coprire i borghesi abusatori di una sedicenne "contadina"; per la sua epoca è certamente un pezzo di cinema molto forte, diretto, perfino crudo. Buona l'idea di un coro di personaggi che passa da un episodio all'altro, a quanto pare dovuta a Ennio Flaiano, che permette di mantenere una omogeneità stilistica che aiuta la pellicola nel suo complesso; forse un po' ripetitivo in certi momenti il commento musicale di Rustichelli tipico di una commedia brillante. Un film da riscoprire, data la sua relativa "oscurità", e un pugno nello stomaco contro il bigottismo e la falsità borghesi che risulta ancora salutare.
Voto 9/10
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