Regia di Emanuele Crialese vedi scheda film
Zuffe tra bambini, birre ghiacciate a lavoro finito, scorribande in motorino, magari con tre-quattro passeggeri a bordo. La vita a Lampedusa, isola sperduta della Sicilia, scorre via tra cose semplici, dettatta dalle regole di una società monolitica e patriarcale. Una società nella quale quelle come Grazia (Golino), madre giovane, bella, vivace e anticonformista degna di un personaggio di Cassavetes, non hanno posto. E infatti le comari del paesino - come le avrebbe chiamate De Andrè - sono convinte che la donna non abbia tutti i venerdì in ordine e fanno pressione sul marito di lei affinché si decida a farla visitare da "un dottore" a Milano. Grazia è refrattaria all'iniziativa: con l'aiuto del figlio maggiore si nasconde per giorni in una grotta, dalla quale verrà fuori soltanto dietro la spinta della disperazione del marito. Al suo secondo lungometraggio dopo il misconosciuto Once we were strangers, Crialese gira un film che vorrebbe coniugare lo stile de La terra trema di Visconti con un apologo sull'alterità. Sotto il profilo antropologico l'operazione sembra riuscire, nonostante lo sfilacciamento in fase di montaggio. Ma sul piano dei contenuti l'operazione è talmente oleografica e programmatica (riprese al ralenty, fratture narrative, la musica penetrante di John Surman) da rimanere in apnea, come nel finale che riprende la ballata acquatica e corale dei protagonisti. Il film è tutto parlato in dialetto e non ha i sottotitoli.
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