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Un altro Ferragosto

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Un altro Ferragosto

di lamettrie
8 stelle

Un gran bel dramma. Sottovalutato dalla critica, perché intellettualismi, spesso vuoti, non se ne vedono: ma realtà vera e profonda, se ne vede, però.

Non sponsorizzato abbastanza per il suo pessimismo, e soprattutto il realismo con cui descrive lo squallore che in gran parte si respira in Italia, per il ritorno dell’ignoranza e dell’ipocrisia fascista, ma non solo.

Si perde molto, però, se non ci è visto Ferie d’agosto di ben 28 anni prima. Virzì riesce nel difficile intento di collegare momenti così distanti grazie alla efficace descrizione sociologica.

Ottima la denuncia della volgarità aggiornata nei nostri tempi: quella della visibilità dei social. Signor nessuno diventa una celebrità; chi merita, perché contribuisce al miglioramento etico e culturale del paese, continua a restare nell’ombra.

L’ipocrisia, la retorica, e soprattutto l’ignoranza di cui sui pasce la notorietà oggi (ma non è così diverso da ieri!) sono ben documentate.

Un lerciume umano che ben è evidenziato dall’onesta sceneggiatura. La quale è ottima per come, assolvendo bene ad un compito difficilissimo, tiene assieme tantissimi piani: politico, economico, sociale, relazionale, familiare, genitoriale, filiale, fraterno, transgenerazionale.

Lo splendido finale tragico, su più scenari, è un degno corollario di un’impostazione egregia, per nulla semplificatrice.

Altro aspetto interessante di questi tempi: la resa delle coppie gay. Come anche la proliferazione dei rapporti interfamiliari, per via di famiglie dissolte, che generano cascate di rapporti plurimi e difficili e anche tremendi: patrigni, matrigne, sorellastre… a farne le spese poi sono soprattutto i minori, ovviamente.

Il pessimismo può apparire eccessivo: comunque non si salva nessuno. Tutte le famiglie, tutti gli affetti si risolvono in un fallimento: una frustrazione. Per sfuggire alle proprie delusioni, ci si imbarca in avventure assurde del momento. Splendido, drammaturgicamente, l’improvvisato scambio di coppie alla festa, come da eterni adolescenti.

Ma anche azzeccata è l’impetuosa scoperta della fragilità del macho interpretato dall’ottimo Vinicio Marchioni. Il tutto incastonato nella stupenda (ma moralmente agghiacciante) descrizione dello sfruttamento del momento, che lui fa della moglie. La quale però ha bisogno, per le sue conferme, di qualcuno che non la faccia sentire nessuno: anche lei sfrutta una situazione favorevole (ottima poi la lettura psicologica della sua frustrazione rispetto alla sorella maggiore, ben più desiderata, la Ferilli). E quindi l’apparenza mediatica fa andare avanti coppie senza senso. L’adulterio il giorno stesso delle nozze, che la moglie però vede, è un bel colpo del soggetto, con tutte le conseguenze che ne seguono, per quanto sorprendenti.

L’insoddisfazione per un tran tran moralmente indecoroso, di affetti falliti e di scorrettezze assortite, è ben rappresentato dalla sorella della sposa, straordinariamente interpretata dalla Ferilli, nella sua semplicità e autenticità. Il suo compagno è interpretato da un ugualmente grande Christian De Sica: laido, rende degna memoria di suo padre quando interpretativa il piacione intelligente e signorile. E, come lui, ossessionato dai soldi: questa meschinità lo accomuna a quella della Ferilli. Che quindi ha difetti, nonostante sia un personaggio tra i migliori qui.

Non si salva nessuno. Eppure l’ancora di salvataggio c’è: è ancora l’amore. Senza retorica alcuna, questi affetti fallimentari sono gli unici che vengono riconosciuti come portatori di senso contro la disperazione. Così come gli affetti tra figli e genitori, per quanto deludenti. La profondità psicologica qui è indubbia: e conferisce un valore superiore a questo lavoro, rispetto a quello pur apprezzabile del ‘96.

La cafoneria, che sembra quasi innata, della gran parte dell’elettorato di destra è ben ritratta. Il suo orizzonte culturale misero, se non orribile, non si piega però a facili contrapposizioni manichee. Infatti è vero che l’intellettuale di sinistra, interpretato benissimo da Orlando, ha meriti civici straordinariamente maggiori: punta, con una conoscenza seria, alla diffusione di valori che concorrano alla felicità di tutti, e non solo di pochi. Ma anche lui ha grandi difetti, che nel sogno gli vengono rinfacciati.

L’ammaestramento che pretende di dare ha meno senso perché “non sa voler bene”. Ed è vero: l’intellettuale che si crea un’aura di sedicente superiorità viene smascherato dalla realtà per quel che è: una persona fredda, alla fin fine cattiva, perché non sa trasmettere vero amore, così chiuso nella sua costante garetta col mondo che deve dimostrare il suo sapere.

Effettivamente questi portatori di maggiori pretese intellettuali rovinano la festa di un matrimonio, con molestie fuori luogo, che andavano semmai dette in ben altri modi, più discreti, vista l’occasione.

Eppure è innegabile che, sotto il profilo civile e morale, Orlando ha un emerito molto maggiore: può dire verità utilissime come «i ceti subalterni votano contro i loro interessi».

Splendida, commuovente e tragica è la rilettura della storia italiana successiva al fascismo e alla guerra che ha portato: doveva esserci uguaglianza, vera democrazia… ma il fallimento di ciò è sotto gli occhi; le cose sono andare molto peggio di come dovevano e potevano andare.

Per queste capacità di onesta e seria lettura storica, come anche dei cambiamenti del presente, va dato merito a Virzì e all’altro sceneggiatorie Francesco Bruni: una dote rarissima purtroppo, in una cultura sempre meno capace (ma per colpa di chi non le offre i meritati posti di lavoro, per darli a leccapiedi, o a distrattori idioti e/o interessati) di denunciare ciò che nel presente è iniquo e/o indecente.

Ottimo il parallelismo tra chi si impegna a preservare la memoria dell’orrore del confino fascista di Ventotene, e la festa alla moda, esteticamente indegna, e anche moralmente per via dell’apparenza che è ributtante rispetto alla realtà.

Prima è degno di nota pure l’agghiacciante discorso della influencer sul confino di Ventotene, che tradisce una miseria umana assai vigorosa. Infatti a tale sposina – influencer viene detta la verità da parte di una ragazza alla moda, descritta quindi abbastanza come una decerebrata: perfettamente inserita nella visibilità mass mediatica, tanto da essere definita «figa», invidiabile, ma anche capace di dire alla celebrità social, che effettivamente è una nullità culturale: «Dai coraggio a tante poverine». Quando lo diceva, ci credeva, ma la grossolanità letale di un’affermazione del genere non stupisce che sia emersa.

I personaggi sono tutti macchiette di se stessi: lo squallore sociale si incardina su quello individuale. Eppure, ricollegandoci a quanto prima dicevamo sugli affetti, splendida, per come è commuovente, è la carrellata sui ricordi dei baci/amplessi passati, di 28 anni prima: affetti, speranze di felicità, presagi spesso svaniti ma che mantengono il loro legittimo posto nei cuori degli individui che le hanno vissute.

Il film è mosso e non annoia mai, in quanto attraversa felicemente svariate tematiche e relazioni. Tante le brave caratteriste, e il largo parco attori in generale.  

La denuncia contro la deriva fascista, in Italia, in Europa e nel mondo, al fondo resta chiara. Splendida la parte in cui la finta Meloni offre un seggio a questa influencer che, eticamente e culturalmente, ha valori politici di poco superiori a quelli delle bestie. Ma che serve per la sua popolarità.

Corretti i riferimenti ai cliché sul senso dello stato che fa smuovere gli elettori di destra da noi: quattro idee generiche di orgoglio, infondate, ignoranti e contraddittorie: ma poi sotto c’è la critica allo stato che ti ammazza con le tasse… ma soprattutto c’è la cosciente e costante pratica di illegalità: lo stato offeso, e ucciso, proprio dall’individualismo capitalista, di cui il fascismo resta un frutto maturo, da noi. Ma sin troppo denso di spine, terribili e tragiche, per essere ripulito come si fa oggi da noi dopo 80 anni di giusta censura antifascista (che comunque sarebbe dovuta essere molto maggiore di quanto è stata; non entriamo nel merito di ciò, dovuto soprattutto agli Usa). E la slavina di questo degrado continua a sommergerci. Finchè…

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