Regia di Walter Hill vedi scheda film
Walter Hill è uno degli ultimi grandi registi che si può ancora comodamente definire come "classico", nel senso di prosecutore e di successore di autori quali Sam Peckinpah e Robert Aldrich: gente che era solita mettere in scena caratteri forti nei personaggi e con una propria cifra personale sempre molto marcata e pessimista. Ancora di più rispetto ai suoi colleghi contemporanei (mi riferisco ai vari Spielberg, Lucas o Coppola, giusto per citare i nomi forse maggiormente rappresentativi), Hill ha sempre mantenuto questo suo tratto distintivo, questa sua "classicità", frequentando spesso il genere western, soprattutto negli anni in cui tutti gli altri lo stavano abbandonando e, altrettanto spesso, marcandolo e reinventandolo con la propria mano registica, sempre riconoscibile: un classico contemporaneo, se così lo si può definire. Anche gli altri suoi film, che siano polizieschi, thriller o carcerari, sono comunque western mascherati ed ambientati ai giorni nostri. Altra peculiarità del suo cinema, suo denominatore comune, è la presenza costante di tematiche altrettanto forti quali il valore dell'amicizia virile, l'etica e la responsabilità per le proprie azioni e decisioni, l'impossibilità, altrettanto spesso, di sfuggire al proprio destino. Valori importanti, che nel cinema (e nella società) attuali appaiono fuori moda, quasi inconcepibili purtroppo e che, di conseguenza, fanno erroneamente apparire lo stesso Hill come un autore superato, appartenente ad un'era lontana: la visibilità in sala e gli incassi, spesso striminziti, delle sue opere ne sono una prova evidente. Sia chiaro, Hill non si è mai dimostrato un moralista: i protagonisti dei suoi film spesso sono guidati da un forte senso morale, da un proprio "codice", senza essere affatto dei perbenisti o dei santi. Da questo punto di vista, "Wild Bill" è uno dei film più personali di Hill, direi uno dei più "astratti", per come sceglie di raccontare le gesta del pistolero/sceriffo (ruoli che nel film, spesso, si confondono tra loro) ed i suoi ultimi giorni di vita. Se i primi venti minuti di film partono carburati al massimo, con la rappresentazione del passato di Wild Bill attraverso sparatorie e regolamenti di conti feroci e sanguigni, con l'arrivo del "nostro eroe" nella cittadina di Deadwood, il ritmo del film si abbassa e ciò che assume priorità è la descrizione di Bill come uomo che, da un lato è una specie di leggenda vivente del west, mentre dall'altro è roso da un passato che non gli dà tregua e che torna a farsi vivo nella figura di David Arquette, figlio di Diane Lane, donna in passato amata da Bill, in seguito rinchiusa in manicomio e poi morta. Wild Bill, nel tentativo di calmare i propri fantasmi, viene mostrato, o ubriaco, o nel quartiere cinese della città, nelle fumerie d'oppio. Anche il film non segue una via lineare nello svolgimento, anzi, spesso il presente è intervallato da flashback (girati in un bianco e nero abbagliante) che hanno come protagonista proprio il personaggio di Diane Lane, quasi come se tutta la storia non fosse altro che una delle visioni allucinate di Wild Bill mentre è sotto l'effetto proprio dell'oppio. Il west di Hill non ha un bel niente di arioso o epico: la giustizia è giusta per chi è più veloce ad estrarre e sparare, uomini come lo stesso Bill sono pistoleri con il distintivo e la stessa cittadina di Deadwood è vista come un girone dantesco inospitale e piovoso, fatto di strade fangose, fumerie d'oppio, saloon e bordelli. E' particolarmente riuscita la scena dove Bill per la prima volta mette piede in città ed il primo "spettacolo" a cui assiste è dato dalla tosta Calamity Jane (Ellen Barkin), sua intima amica, che, proprio in mezzo ad una di queste strade fangose, sta prendendo a frustate un giocatore di carte sorpreso a barare. Jeff Bridges è un attore che da sempre merita elogi per il talento che dimostra nel mettere in scena i suoi personaggi: rende infatti benissimo i chiaro-scuri della personalità del pistolero, così come è altrettanto efficace la sua aderenza fisica a Bill. Anche Ellen Barkin si è sempre dimostrata un'attrice più propensa a ruoli forti (come non ricordarsi il ruolo della prostituta volgare e traditrice in "Johnny Il Bello", sempre di Hill) e la sua Calamity Jane, "maschiaccio" in un mondo prettamente maschile come quello dei cowboy, mostra un po' del proprio interesse femminile proprio verso Bill. E' altrettanto piacevole ritrovare altri volti noti dell'universo cinematografico di Hill, solidi caratteristi quali James Remar, Keith Carradine (è Buffalo Bill) e Bruce Dern (qui pistolero su sedia a rotelle), che sono un ulteriore valore aggiunto al film. A costo di ripetermi, ma in un universo cinematografico di supereroi spacconi ed effetti (poco) speciali, gli anti-eroi di Hill, fatti più di ombre che di luci, hanno ancora tanto da raccontare. Sarebbe un peccato far passare di moda l'autoriale artigianalità di questo grande regista texano.
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