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Munchausen

Regia di Ari Aster vedi scheda film

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La recensione su Munchausen

di mck
7 stelle

Versione alternativa della vita di Ari Aster: se non fosse andato al College di Santa Fe e al Conservatorio dell’American Film Institute (AFI)...

 

Munchausen” (2013), film timburtoniano, muto e senza didascalie (e dal titolo con la "ü" senza dieresi, ché all’uncinetto/tombolo vien difficile, mentre, american-inglesizzazione a parte, è più difficile trovare giustificazioni per la mancanza della seconda "h"), suddiviso in due parti da 8' l’una, un pixariano what-if à la “Up” (e “Toy Story”) che si rovescia (Psychoal contrario) e trasforma nella parafrasi stephenkinghiana dell’Oedipus Wrecks woodylleniano, è, oltre all’opera sesta di Ari Aster, il racconto – prodotto (anche attraverso KickStarter) da Alejandro De Leon, fotografato (un momento da annuario scolastico molto “the Master / Licorice Pizza” e un paio di gran belle carrellanti panoramiche a schiaffo su dolly dotate di zoom) da Pawel Pogorzelski, montato da Arndt-Wulf Peemöller, musicato (molto bene) da Daniel Walter e interpretato da Bonnie Bedelia, la madre, Liam Aiken, il figlio, David Purdham, il padre con la passione dell’orologeria micromeccanica, Rachel Brosnahan (che lavorerà con Ari Aster nel successivo one-woman-show di “Basically”), la schrödingeriana compagna del figlio e Richard Riehle (che lavorerà da protagonista con Ari Aster nel successivo “the Turtle’s Head”), il medico di famiglia – del disturbo psicologico da cui prende il titolo (e il cui nome a sua volta ha origine dal barone Freiherr Karl Friedrich Hieronymus von M., reso famoso nel 1785 dal suo contemporaneo Rudolf Erich Raspe immortalandolo in “Baron M.’s Narrative of his Marvellous Travels and Campaigns in Russia”), descritto per la prima volta a metà del XX secolo da Richard Asher, e qui però proiettato (causato/indotto) fisicamente da una persona ad un’altra (la simulazione in questo caso è consapevole e da parte dell’umana origine senziente dei sintomi reali e concreti arrecati e cagionati al paziente, e non del paziente stesso, del tutto inconsapevole) e metaforicamente situato, attraverso un adattamento emotivo/psicologico per procura, in un baricentrico punto di Lagrange gravitico tra le due: la madre che avvelena il figlio (col Feel Bad che ricorda tanto l’Herman’s Cure-All Tonic di un lustro prima, e a nient’e nulla servirà il Feel Good) per impedirne la partenza per il college e il dottore che non riesce dai sintomi a dedurne la malattia. L’idillio immaginato/sognato finirà in tragedia.

 

 

R. Asher (1951) propose di riunire sotto la dizione sindrome di Münchhausen tutti quei casi che presentavano le seguenti caratteristiche: simulazione più o meno consapevole di malattia, pseudologia fantastica (menzogne patologiche), peregrinazioni da un ospedale all'altro. [...] Il riferimento all'eroe del romanzo di R.S. Raspe (Il barone di Münchhausen, 1785) deriva dall'irriducibile tendenza alla fantasticheria di questo personaggio, alla teatralità dell'esposizione narrativa, alle solitarie peregrinazioni, anche se i pazienti si presentano non come eroi, ma come sventurati sconfitti.

https://www.treccani.it/enciclopedia/simulazione-(Universo-del-Corpo)

 

La Sindrome di Münchhausen per Procura, o MSP (Münchhausen Syndrome by Proxy), è conosciuta anche come Sindrome di Polle, dal nome del figlio del barone. (Sempre dalla Treccani: Una variante di questa sindrome è la sindrome di Münchhausen by proxy, o Polle syndrome, di osservazione pediatrica, in cui i sintomi artefatti sono provocati nei figli piccoli dalle madri.)

 

 

* * * ¼ - 6.5   

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