Regia di Yurek Bogayevicz vedi scheda film
I film che raccontano l'Olocausto partono automaticamente con un punto in più, non fosse altro che per il fatto di star lì a ricordarci di quali oscene aberrazioni è stata ed è capace l'umanità. Tuttavia, la distanza che passa tra un'opera come Il pianista e questo film firmato da Yurek Bogayevicz è la stessa che potremmo ritrovare tra Rembrandt e il pittore della domenica.
Ambientato nella campagna nei dintorni di Cracovia, nel 1942, L'ultimo treno è un racconto di formazione al centro del quale troviamo un ragazzino ebreo (Osment) che un cattolico dal cuore d'oro, con la sua famiglia, prende sotto la sua ala protettiva allorquando i genitori del fanciullo si rendono conto che per gli ebrei non c'è scampo e che quello sarebbe stato l'unico modo per mettere in salvo il figlio. Il giovane sarà spettatore inerme di ogni nefandezza, compiuta non soltanto dei nazisti occupanti, ma anche da quelle stesse persone che la domenica vanno in chiesa ad ascoltare le omelie di un prete ambiguo (Dafoe).
Lezioso e melenso, il film di Bogayevicz ha un'estetica da telefilm, arranca nel racconto passando da un episodio all'altro con tagli al montaggio fatti con l'accetta, cerca la lacrima a tutti i costi non riuscendo mai a commuovere veramente. E questo nonostante la faccia perennemente crucciata di Haley Joel Osment (lo si ricorda ne Il sesto senso e A.I.), un ragazzino precocissimo che sembrava destinato a una traiettoria nel mondo del cinema simile a quella di Jodie Foster, e che invece ha conosciuto un successo meteoritico: la versione italiana del film lo affossa definitivamente con la voce di un doppiatore che sembra avere le adenoidi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta