Regia di Volker Schlöndorff vedi scheda film
Ancora una volta, meritoriamente, il cinema tedesco fa i conti con il terrorismo e con il suo passato recente di paese diviso. Che cosa resta dopo la rapina, dopo l'attentato, dopo lo sparo? Vuoto e silenzio, paura e senso di precarietà. "Come si convive con quel passato?" domanda una collega, che ha riconosciuto nella protagonista la terrorista ricercata dalla polizia della Germania Ovest. Male, sarebbe la risposta: con la paura di essere riconosciuti e, soprattutto, il terrore di rivelare la verità alle persone che si amano, dopo avere abbandonato altre persone che si amano, alcune identità fa. Del resto, anche la Stasi era madre abile ed affabile, scaltra ed onnipresente, ma non eterna, e il crollo del Muro di Berlino ha lasciato tanti ex giovani orfani del proprio passato di rivoluzionari senza una precisa visione del futuro. Ed anche Rita alias Susanne alias Sabine non è che una delle tante vittime di una gioventù vissuta sulle ali fragili e plumbee di Mao e della P38. Nonostante la serietà del tema affrontato e della serietà dell'approccio, Schlöndorff è un ottimo illustratore, ma mi pare che non riesca ad entrare in profondità nelle cose e nell'animo delle persone: è un po' troppo americano per essere europeo e un po' troppo tedesco per essere americano. Su un tema analogo, mi era piaciuto molto di più il film di Lumet VIVERE IN FUGA, dove c'è una sequenza (il colloquio della protagonista femminile con il padre) degno di rimanere nelle pagine della storia del cinema mondiale.
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