Regia di Iris Kaltenbäck vedi scheda film
Lydia è infermiera ostetrica e assiste le madri che partoriscono; dal canto suo, però, non partorisce. Forse agogna una maternità che il ragazzo (che la lascia) le nega, o forse ha semplicemente il grande desiderio di comprendere, emotivamente, di cosa si tratti, di capire l’amica Salomé che rimane incinta, di capire la stanchezza delle sue pazienti. E allora, comincia a crearsi un’identità fittizia con il serbo Amos, con cui forse può funzionare l’idea di creare una famiglia - contro ogni ostacolo, e contro ogni buonsenso.
Il film di Iris Kaltenbäck, sotto una forma fin troppo pudica e canonica, è comunque un raffinato lavoro di scrittura psicologica, in grado di fomentare il dubbio e trattenerlo, anche e soprattutto alla luce della voice over di Amos dal futuro e dei suoi commenti allusivi, stranamente comprensivi, genuinamente affezionati. Non solo il tono di questa voce fuoricampo fa interrogare sulla sanità mentale di Lydia, ovvero se la sua ostinazione sia più o meno psicotica o determinata da un disturbo comportamentale non (troppo) debilitante; in più la voice over anticipa un finale consolatorio (evitando comunque lo scontato fatalismo) che è raggiunto però con tutte le opportune deviazioni, tutte tangenti alla reale comprensione del personaggio di Lydia che troveremo sempre sfuggente anche di fronte alle sue confessioni, ai suoi dilemmi solitari, al suo penetrante sguardo in camera.
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