Regia di George Lucas vedi scheda film
Lucas cede definitivamente al richiamo dell’inconscio e prolassa clamorosamente verso la spettacolarizzazione, pur non disdegnando una fase narrativa che risulta di tutto rispetto (è forse la trama più bella della saga). Ma le possibilità tecnologiche maturate nei tre anni che dividono questo secondo episodio dal precedente “La minaccia fantasma“ sembrano aver invogliato il padre di Guerre Stellari a sfruttarle a fondo (per la prima volta personaggi importanti, il maestro Yoda in testa, vengono creati completamente attraverso la computer grafica e la digitalizzazione è evidente). Tuttavia il film ha un’anima, ma è glaciale, amorfa, quasi impersonale, lo testimoniano i marchingegni tecnologici che ricordano Miyazaki e i costumi alla “Street fighter”: troppa roba anche per un film di Lucas. Stavolta si narra l’ascesa al potere del corrotto Palpatine, delle capacità, ma anche dei limiti caratteriali del giovane Anakin Skywalker, ma soprattutto dell’amore di quest’ultimo per la senatrice Padmé Amidala. L’ultima mezz’ora di film, dalla battaglia nell’arena fino al combattimento dei jedi contro Dooku, è da pelle d’oca. Ciò che debilita fortemente il film è la pessima prova degli attori, in primis quella di Hayden Christensen, che interpreta un Anakin Skywalker in età adolescenziale: un passaggio fondamentale per tutta la saga in cui il personaggio si fa travolgere dal “lato oscuro”, passando da eroe a villain: di tutto ciò Christensen comunica solo spocchiosità e disobbedienza, senza marcare i risvolti psicologici di un personaggio basilare per “Star wars”. L’unico tratto in cui il giovane attore risulta convincente è quando massacra i Turken, dopo aver appurato il decesso della madre. Un passo in avanti rispetto al capitolo precedente, ma tutta un’altra storia rispetto alla trilogia “originale”.
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