Regia di Ilya Povolotsky vedi scheda film
Nelle desertiche tundre russe attraversate da un “estate che non viene più” una ragazza e suo padre si aggirano raminghi con il loro furgone a inventarsi lavoretti e modalità di sopravvivenza: vendono foto di ragazze succinte, vendono DVD piratati, vendono cose da bere. Dei grossi sottintesi agitano il loro freddo rapporto, che non è neanche di potere ma a cavallo fra sfida e scetticismo. Non viene mai nominato il fantasma di una madre.
Da questo quadretto Ilya Povolotsky estrae un esercizio di regia e di pianisequenza rotatori che trasformano e rimaneggiano gli stessi tre o quattro ambienti in labirinti astratti e dispersivi, in evidente ascendenza tarkovskyana. Forse la grande differenza rispetto al grande nume tutelare del regista è che le veci della spiritualità dell’autore di Nostalghia le fanno qui il gelo e l’indifferenza, o in qualche modo anche l’automatismo che regola il rapporto fra i due protagonisti innominati. Ma l’ambizione è la stessa, cucita su una storia umana che forse si riconduce in modo troppo univoco sul lutto, la perdita, il rimosso, ma lo fa con un carisma invidiabile.
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