Regia di Claude Schmitz vedi scheda film
Gabriel fa l’investigatore privato. Quando alla sua porta si presenta la nipote Jade, inizia ad indagare sulla morte sospetta del fratello gemello, con il quale aveva tagliato i ponti. Insieme alla ragazza raggiungono la sontuosa residenza del defunto fratello, abitata dalla vedova dell’uomo, una donna americana disillusa, che si circonda di loschi individui. Mentre la polizia è sulle tracce del possibile omicida, un gitano scomparso.
Il regista mescola, come già ha sperimentato nelle sue precedenti opere, finzione e realtà. Mescolando più generi diversi: thriller, commedia, dramma e anche B-movie. Claude Schmitz utilizza strumenti del cinema tradizionale contrastando alcune delle drammaturgie archetipiche con l’utilizzo di schemi narrativi e personaggi che riportano ai B-movie e ai loro schemi narrativi semplicistici e caricaturali divenuti iconici e rappresentativi di un certo immaginario collettivo. Quando tenta di distaccarsi dalla perdizione dei film di serie b, ingolfa la narrazione di molteplici altri personaggi: la femme fatale, il detective privato, i motociclisti, i poliziotti corrotti, che rimandano obbligatoriamente al cinema americano, anch’esso stilizzato e deriso.
Claude Schmitz ha dichiarato di aver volutamente inserito, e a volte forzato, tutti i generi che notiamo nella pellicola, in una sorta di schizofrenia narrante che non solo tende a confondere lo spettatore ma conseguentemente finisce per introdurre una sorta di nervosismo visivo che si trascina fino ai titoli di coda, pur dovendo far notare che è proprio l’ultima mezz’ora di pellicola (o giù di lì) che il tutto riesce a muovere un latente interesse, comunque insufficiente a reggere la complessa struttura narrativa.
Schmitz parte dagli elementi fondamentali del noir, già sopra ampiamente citati, e li trasforma, rendendoli a tratti divertenti e a tratti caricaturali, con l’intento di smorzare la tensione che in certi punti si crea ma finendo per impregnare il filo conduttore di perplessità e argomenti. Uno su tutti il rapporto padre-figlia, che viene oltremodo mostrato e addirittura sdoppiato attraverso il rapporto di Jade, prima con il padre e poi con lo zio gemello del padre.
Il simbolismo che accompagna questi rapporti interpersonali è l’ennesimo elemento pressante (o sarebbe meglio dire pesante) di un film che si carica di fatti; ad un certo punto compaiono finanche le Torri Gemelle, il cui attacco mostrato sotto gli occhi di tutti, e rimostrato ancora, finisce per simboleggiare il crollo di uno stato emotivo e menzognero di cui tutti da sempre ne fanno parte incapaci di ribellarsi. Allora Jade, l’unica che alla fine si rende conto di questo inganno diventa il simbolo (l’ennesimo) dell’individuo che apre gli occhi sulla menzogna del patriarcato, oltremodo rappresentato.
Pur peccando nella stesura di una sceneggiatura troppo pretenziosa, The Other laurens sfoggia panorami belli da guardare. Il film merita una visione anche solo per la carrellata finale, dall’alto, del deserto spagnolo, laddove tutto termina, nulla di reale resta, lasciando letteralmente il vuoto intorno alla speranza.
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