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Surrounded

Regia di Anthony Mandler vedi scheda film

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La recensione su Surrounded

di mck
7 stelle

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1870, al confine tra New Mexico e Colorado, un lustro dopo la fine della Guerra Civile di Secessione, un pezzo di carta in tasca, l’afroamericana mascheratamente proteroginica per costrizione e vocazione Mo Washington, da donzella di mare ora minchia di re per necessità e piacere, cerca di sopravvivere – nata schiava e ora liberata (marca da bollo, timbro e firma da esibire all’occorrente occorrenza) grazie alla vittoria dell’Unione sui Confederati, dopo aver servito per un periodo nei Buffalo Soldier a “uccidere gente con la pelle poco più chiara” della sua – ai caucasici volenterosi rappresentanti della legge, siano essi minuspriapici tutori della stessa o cacciatori di taglie, e ai fuorilegge, slalomando tra i comanche superstiti accampati nei canyon.

 


Tommy Walsh (Jamie Bell) a Mo Washington (Letitia Wright):
“Just 'cause they don't wanna look at you don't mean I can't see.”
(“Solo perché loro non vogliono guardarti ciò non significa che io non riesca a vedere.”)

E ancora, nuovamente lui a lei:
- Sai, l’umanità sa essere molto ostile se ti ritiene indegno di farne parte.
- Quindi adesso vuoi vendicarti del mondo?
- Ah-ah! Io… voglio vendicarmi del mondo da quando avevo otto anni.

E poi, Will Clay (Michael K. Williams), sempre a lei:
“Abbiamo le stesse cicatrici tu e io. Hai ricevuto i tuoi quaranta acri, il tuo mulo. Ti senti libera. Io di sicuro no.”

 

 
Molto bella la "kubrickiana" (FMJ) lintroduttiva carrellata iniziale verso destra che...

 

 

...cerca/crea l’alba, apparendola oltre un promontorio di roccia posato sull'orizzonte.

 


Peccato per il finale, l’unico vero e proprio elemento che disinnesca la sospensione dell’incredulità dal mero PdV delle dinamiche di logica comportamentale: lo sceriffo/giudice dà per scontato che il ragazzo dopo essersi svegliato abbia ridisposto i corpi attorno all’albero? Perché da quella posizione è ben difficile che si siano uccisi l’un l’altro o che siano tutti quanti andati a morire accomodandosi attorno al tronco.

 


In mezzo a questi due elementi dicotomici, in apparenza l’uno di forma/stile e l’altro di sostanza/contenuto, ma in realtà interscambiabili, ci sta il film, che scorre, così come il prologo, tra non banali quadri “rosy-fingered dawn/dusk” (più che Quentin Tarantino vi sono echi primigenei da Paul ↓ Schrader: la protagonista appollaiata sull’albero inscheletrito come una pantera) pittati di luce: la fotografia è di Max Goldman, ma lo stesso regista…

 


(fotografo ritrattista e videoclipparo di razza per, in ordine più o meno cronologico, Snoop Dogg, Common, 50 Cent, Jay Z, Eminem, Nelly Furtado, Rihanna, Beyoncé, Fergie & Black Eyed Peas, Duran Duran, Spice Girls, the Killers, John Legend, Mary J. Blige, Usher, Drake, Muse, Cristina Aguilera, Jennifer Hudson, Nicki Minaj, Lana Del Rey, Taylor Swift, Selena Gomez, the Weeknd, Jennifer Lopez, Lenny Kravitz, Shakira e Jonas Brothers più un documentariosu David Beckam e il lungometraggio di finzione narrativa “Monster)

 


…ci mette del suo, mentre la sceneggiatura è di Andrew Pagana (che l’ha revisionata da solo oltre a comparire in un ruolo secondario) e Justin Thomas, il montaggio è di Ron Patane, le musiche sono del danese Robin Hannibal [più “(They’re) Calling Me Home” di Alice Gerrard interpretata da Rhiannon Giddens con Francesco Turrisi alla fisarmonica e “God Drag Me Along”, uno splendido inedito di Ben Harper e Robin Braun] e il cast è ben composto…

 

 

– oltre che dai succitati Letitia Wright (“Black Mirror: Black Museum”, “Black Panther”, “Avengers: Infinity War / EndGame”, “Guava Island”, “Small Axe: Mangrove”, “I Am: Danielle”, “Death on the Nile”, “the Silent Twins”, “Aisha”, “Black Panther: Wakanda ForEver”), Jamie Bell (“Billy Elliot”, “Undertow”, “Flags of Our Fathers”, “Snowpiercers”, “Nymphomaniac”, “Shining Girls”, “All of Us Strangers”) e Michael K. Williams (1966-2021; per sempre l’Omar Little di “the Wire”, e poi in “BoardWalk Empire”, “Inherent Vice”, “the Night Of”, “Hap and Leonard”, “Arkansas”, “Motherless Brooklyn” e “Lovecraft Country”, e qui alla sua ultima interpretazione) –

 


…anche da Brett Gelman (un piccolo ruolo in “Person to Person”, il finale di serie di “Mad Men”, e poi in “FleaBag”, “Twin Peaks 3: the Return”, “Stranger Things”, “Camping (US)” e “Mr. Mercedes”), Jeffrey Donovan (Changeling, J. Edgar, Sicario, Fargo, Lucy in the Sky) e Luce Reins (“No Country for Old Men”).

 


Nota finale.
Esemp(lar)i di No (CoViD) Vax: Letitia, Povia, Andrea. Puoi perdonarne due e garrotarne uno. (Scelta ardua.)

 


* * * (¼) - 6.25             

 

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Addenda (02-04-2024).

 

Dopo un breve dialogo sul film avuto con l’utente @daniele64 in calce alla sua recensione riassumo qui un paio di concetti volanti sulla questione “Black-Washing” & “Forced Diversity”.

Quando l’atto di “normalizzazione” delle “minoranze” - che può costituire tanto il fulcro quanto un aspetto collaterale dell’opera - è organizzato bene, e accade spesso e volentieri, i caratteri che ne escono sono né più né meno... orribili/splendidi come la media delle persone.
E proprio come ci si aspetta da un'opera libera da pregiudizi (al di là del suo valore finale), il personaggio di Mo Washington in questo “Surrounded” (“pur” appartenendo a una "minoranza") esprime caratteristiche sia positive che negative, e nemmeno si tratta di un’eroina, e nemmeno come tale svetta se rapportato agli altri (il solo che si potrebbe definire una “brava persona” è il cocchiere/postiglione interpretato dallo stesso Andrew Pagana, il co-sceneggiatore e revisore del film).
Milioni di schiavi liberati nell'arco degli anni, e non tutti, direi, si sono arruolati nei Buffalo Soldier a cacciare indiani dalle loro terre e ad ammazzarli per raccimolare uno stipendio. Sono diventati operai e contadini, invece, "liberi", indipendenti a volte, o, nella stragrande maggioranza dei casi, sono sùbito tornati sotto padrone (che spesso e volentieri era lo stesso medesimo di prima), solo un po’ ripulito, ma neanche poi troppo), con stipendi e condizioni di vita questa volta solo un gradino al di sopra della schiavitù, ma senza ammazzare né bianchi né neri né gialli né rossi.
Mo Washington invece cerca riscatto e vendetta, e lo fa attraverso il sogno americano, come tanti, e quel sogno lo mette in pratica quasi sempre col sangue, cioè col dollaro (veicolato dal piombo).

Di solito rispondo così a chi, in rappresentanza dello scemo del paese e/o delle masse (ché spesso le due cose coincidono), muove critiche idiote al fatto che “ultimamente” un sempre più alto numero di film - per non esulare dal camp cinematografico – mette in scena persone di genere femminile o appartenenti allo spettro che dal femminile si congiunge al maschile come esseri umani forti e risoluti o persone “di colore” raffiurate né più né meno come eroi dell’Antica Grecia: "Se dopo secoli di prevaricazione [maschile, bianca, etc.] perpetrata dai tuoi simili nei confronti di altre genti adesso ti bastano un paio di film* per sentirti così in pericolo [piccolo, miserabile, inutile] è perché forse lo sei."

*Nei quali la prospettiva viene ristabilita, ma senza stravolgere la Storia: comprendo un Amleto col Principe di Danimarca bianco, un'Ofelia nera, una regina asiatica, un re amerindo, uno zio Claudio molisano e uno Yorick bergamasco (si pensi, solo per fare un esempio, al “Macbeth” di Joel Coen, anche se la questione è molto più ampia e variegata), ma mi riesce un po’ più difficile giustificare l'inserimento ambiguamente forzato di caratteri controstorici non contestualizzati, col volenterosamente pedagogico - ma fuorviante - intento di far esclamare a un ragazzino di oggi che "Ma allora erano più integrati di oggi! Com'è che siamo finiti così?"

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