Regia di Ali Asgari, Alireza Khatami vedi scheda film
Un uomo che si vede negare il diritto a chiamare David il proprio nascituro. Una ragazzina che non può indossare stoffe di colore rosso. Una giovane donna ripetutamente importunata durante un colloquio di lavoro. Una ragazza che viene multata per avere tolto l'hijab mentre guidava. Un ragazzo al quale non viene rinnovata la patente a causa della poesia che si è tatuato addosso. Un regista obbligato a stravolgere il copione del suo prossimo film. Una ragazza che rischia la sospensione a scuola per essere stata vista in compagnia di un coetaneo. Un uomo in cerca di lavoro, costretto a dimostrare la sua conoscenza del Corano. Un'anziana alla ricerca del cane smarrito ("si compri un canarino: i cani sono impuri"). Sono i nove protagonisti e le altrettante miniature, quasi degli haiku, che compongono il mosaico di una società - quella iraniana - ben otre i limiti dell'assurdo. Kafkiana, appunto. A raccontarcelo, con uno stile essenziale e sempre uguale (macchina da presa immobile, un solo soggetto in campo a duellare a parole con il vessatore di turno di cui udiamo soltanto la voce), sono due registi - Ali Asgari e Alireza Khatami - che rinfoltiscono la schiera di una delle migliori cinematografie al mondo, costretta quasi costantemente nella cattività di spazi raccolti, inosservabili dall'esterno, che permettano di girare film coraggiosissimi come questo. Ai capolavori di Farhadi, Majidi, Javidi e Jalilvand si aggiunge questa opera insolita, aperta e chiusa dalla minaccia sorda del terremoto, metafora di una nazione fatta di burocrazia ottusa, maschilismo imperante, abusi di potere, fondamentalismo religioso: tutto quello che, con altrettanta rapidità, potrebbe diventare l'Occidente in un futuro distopico non così lontano.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta