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Acid

Regia di Just Philippot vedi scheda film

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La recensione su Acid

di mck
6 stelle

"Non voglio fare il bagno a marzo!", ovvero: solforica bassa pressione adatta al venusforming: in pratica non c’è più niente da fare, e il film gira intorno a quest’impasse.

 

 

Ah!, le nuvole!, “vanno, vengono, e si mettono lì, tra noi e il cielo, nere come il corvo”, parafrasando un poco il poeta (ma qui è il contrario del “lasciarci soltanto una voglia di pioggia”), e fanno paura già così come sono (e lo sa bene Nonno Simpson), cioè strapiene d’acqua: figuriamoci di acido solforico! Il punto è che il film è fondamentalmente “sbagliato” da un non emendabile PdV, vale a dire: l’apocalisse è talmente irrimediabile che non ci si può aspettare altro che un’elaborazione esistenzialista della Fine con la “f” maiuscola su scala umana e un poco oltre

– cosa che riesce, ad esempio, a “Fino alla Fine” (o, all’inverso, a "Light of My Life" e a "la Terra dei Figli", e, contestualizzando il tutto, al “the Road” cormacmccartyano), un coevo romanzo breve di Delos Veronesi pubblicato da Delos Digital il cui capitolo intitolato “Rozzano” così comincia: “Il tanfo è nauseante, penetra attraverso lo straccio che mi sono legato sulla faccia e mi toglie il respiro. C’è odore di morte, di putrefazione...”, ché, in fondo, hinterland milanese o Fiandre: stessa joie de vivre, con o senza apocalisse all’orizzonte o sotto al naso e davanti agli occhi... –,

e invece no: “Acide” è un percorso da A a B, o da X a X, per come sono impalpabilmente vaghe tanto la sua forma/stile (salvata da qualche bella inquadratura shyamalaniana) quanto la sua sostanza (purtroppo), che non porta ad altro che al lamento in vece del bang, artisticamente parlando.

 


Non c'è più niente da fare,

ma è stato bello sognare:

la vita ci ha regalatodei lunghi giorni felici [con cavigliera elettronica, ma va beh, così vuole Das Kapital; NdA],

qualcosa che il tempo non cambierà mai.


Ma eccoci qui, invece, che di tempo non ce n’è proprio più: in un mondo di Claudio Borghi liberi di scorrazzare in giro la Morte scende in anticipo per tutti (ed è giusto così, non è che può pensare a tutto la Pedemontana, eh), e purtroppo anche il film non va d’alcuna parte o quasi: “Acide” (2024) innegabilmente segna infatti un netto passo indietro per Just Philippot rispetto a la Nuée (2020), il precedente e per l’appunto molto più convincente e compiuto esordio nel lungometraggio, ma evidentemente il regista ci teneva (scrivendo anche la sceneggiatura, assieme a Yacine Badday) a rimettere in scena sulla lunga distanza il suo omonimo (2018) corto (15’) e questo ha fatto, con esiti deludenti (date le aspettative suscitate dalle premesse), ma certo non devastanti: un’idea di sguardo è confermata, e se non prorompe per lo meno traspare durante il primo terzo di film, poi a crollare non è tanto il “burocratico-militar-psico-famigliare” girare a vuoto della trama (“iperrealista” se non documentario), ma l’evoluzione (a prescindere da fatto che sia compressa e amplificata per cause di forza maggiore, ovvio) della caratterizzazione dei personaggi, e in particolar modo quella che coinvolge la giovane e semi-esordiente Patience Munchenbach (“Perdrix”) che, vuoi per com’è scritto il suo personaggio, vuoi per il suo stile interpretativo (pure oggettivamente valido sotto alcuni aspetti però ancora acerbi), fa tifare (soggettivamente) per i cumulonembi sperando pure che dietro di loro sbuchi il mostro volante di carta velina di Nope e se la pappi, mentre Guillaume Canet (“l’Enfer”, “Doubles Vies”, “Hors-Saison”) prova a reggere la corsa di bracca e burattini contro il tempo (cronologico e atmosferico) e la geo/topo-grafia.

 


C’hò l’[eco-]ansia,

c’ho l’[eco-]ansia,

c’ho l’[eco-]ansia…

C’ho l’[eco-]ansia!

Eppure “Acide” (fotografia di Pierre Dejon, montaggio di Pierre Deschamps e musiche di Robin Coudert), come detto, inizia bene: “Non voglio fare il bagno a marzo!” è un gran bello slogan ben cosciente dello zeitgeist - non umano, ma - ecologico planetario, e quest’insana tendenza umano-animal-vegetale a mettere in atto automaticamente un processo di sopravvivenza anche di fronte a un’ineluttabile fine poteva anche – non dico sfociare nel solar-punk, ma, con tutto il pessimismo dell’ottimista consapevole – non contorcersi in una dimensione privata trita e ritrita (ma non per questo falsa, eh) così banalmente ritratta, e provare a renderla più viva, se non più vera.

 


Solforica bassa pressione (terrestre: 1 atmosfera, 1.000 millibar, 100.000 pascal) adatta al venusforming (90 e passa bar): in pratica non c’è più niente da fare, e il film gira intorno a quest’impasse.

* * * (¼) - 6.25  

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