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Perfect Days

Regia di Wim Wenders vedi scheda film

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La recensione su Perfect Days

di Souther78
6 stelle

Film che capovolge il teorema cinematografico contemporaneo, improntandosi alla lentezza e alla pacatezza. Non è però tutto oro ciò che riluce: l'approccio semi-documentaristico non permette il coinvolgimento dello spettatore, e il protagonista finisce per essere osservato "da fuori", ma non "sentito".

 
Una scommessa, quella di Wenders, non da poco: in tempi di consumismo esasperato, anche di rapporti e affetti, dedicare due ore di visione a un'opera con pochissimi dialoghi, lenta, ripetitiva, senza alcun colpo di scena o finale a sorpresa. Scommessa audace, ma... vincente?
 
Perfect Days ci riporta a un modo di vivere che i giovani e giovanissimi neppure conoscono: senza cellulari, mp3, bluetooth, smartwatch, etc. E proprio in questo sta l'audacia, ma anche la deliberata ostentazione di un contrasto tra due mondi antitetici: la Tokio rinomata nel mondo per frenesia, luci, tecnologia, treni superveloci, traffico e via vai quotidiano, sfuma sullo sfondo, mentre al centro della scena abbiamo cassette a nastro, sobborghi silenziosi e oscuri, biciclette e automobili utilitarie. Un mondo nel mondo: quasi un microcosmo. E l'incontro / scontro tra questi mondi si manifesta nell'inatteso faccia a faccia tra fratello e sorella: la Lexus con i suoi fari tecnologici contrasta apertamente con tutto ciò che la circonda, a partire dal protagonista. Quasi ironicamente, la principale tecnologia con cui il nostro interagisce è quella dei WC (i famigerati wc giapponesi con le loro mille funzioni!).
 
La natura con cui si confronta il protagonista è al tempo stesso maestosa, eppure nascosta, isolata, quasi impercettibile, eppure anche in quei pochi alberi, nei loro figlioletti, e nelle fessure di luce tra le foglie, si può dischiudere un altro microcosmo, a condizione di saperlo osservare e volerlo cogliere. Magari perfino immortalare! Così, mentre turisti distratti si perdono tra le mille luci della città, c'è qualcuno che riesce a vivere a un livello del tutto differente.
 
Intimo e intimista, sì, ma tutt'altro che perfetto. Da un'opera a vocazione interiore, ci si sarebbe aspettati una profonda comprensione e compartecipazione con il protagonista, magari attraverso un percorso morale o esperienziale. Si è preferito l'approccio realista e oggettivista, che però vede un labile confine con il documentarismo. E la domanda sorge spontanea: se invece di Wenders, l'avesse firmato Mario Rossi... siamo proprio sicuri che l'accoglienza di pubblico e critica sarebbe proprio invariata? Probabilmente no. Siamo istintivamente portati a considerarci incompetenti allorchè non apprezziamo qualcosa di acclamato dalla critica, pensando che magari sia a noi che sfugge qualcosa. 
Tra luci e ombre, Perfect Days sa farsi apprezzare per l'anticonformismo e per la dote intrinseca di antidoto alla frenesia ipertecnologica, ma altresì al prodotto cinematografico contemporaneo medio, che nasce all'ombra del motto: "più è meglio". Qui siamo agli antipodi: "meno è meglio". Ma lo è davvero? Forse, in medio stat virtus. E se non proprio nel mezzo, almeno un pochino più in là di dove si è spinto il regista.
 
Insomma, scommessa vinta con la critica e con il pubblico. Resta solo il dubbio di quanto merito della vittoria sia da ascrivere all'opera e quanto alla nomea del suo autore. Il modo migliore di fruirlo? Farne esperienza. Con calma, volontà, fermezza e pacatezza. Non ne uscirete trasformati, ma forse più concentrati sul qui e ora.
 
 
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