Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Wim Wenders in Giappone, a distanza di alcuni decenni dal documentario "Tokyo ga" che parlava della sua passione per il cinema di Ozu, stavolta invece con un lungometraggio di finzione, ma un'opera minimalista, narrativamente essenziale e quasi privo di trama, coraggiosamente privo di dialoghi soprattutto nella prima metà.
Il signor Hirayama è un addetto alla pulizia di bagni pubblici, un uomo di circa sessant'anni, taciturno e solitario, di cui il film ci rivela gradualmente la quotidianità, la passione per la musica, fra gli altri, di Lou Reed (la canzone del titolo torna per due volte), gli incontri inaspettati con colleghi di lavoro e una nipote attraverso cui emerge qualche dettaglio di un passato che Hirayama sembrerebbe voler rimuovere. Il film è una cronaca solo in apparenza distaccata, ma in realtà nutrita del consueto vitalismo wendersiano, in cui l'anziano regista accumula tanti piccoli episodi e, soprattutto nella prima parte, sceglie un approccio estremamente libero alla materia, pieno di divagazioni e notazioni impreviste, rinunciando alla parola per concentrarsi sull'immagine e il suono e veicolare i dati emotivi che gli servono per comporre un ritratto decisamente amarognolo e malinconico.
Fa piacere leggere di incassi italiani che hanno raggiunto i tre milioni di euro, cifra notevole per un film decisamente poco commerciale, nonché averlo visto in una sala strapiena, tutti segnali che fanno capire che il pubblico può anche apprezzare le opere di qualità se esse vengono adeguatamente promosse e pubblicizzate. Da segnalare le immagini oniriche ricorrenti come "visioni" di Hirayama, dovute alla moglie Donata Wenders, ma soprattutto la straordinaria interpretazione di Koji Yakuso, meritatamente premiato a Cannes, che regge molte scene sul suo sguardo che qualcuno ha definito alla Tati, ma che trasmette comunque un'intensa sofferenza, in particolare nel lunghissimo piano sequenza che chiude il film. Un'opera che riconcilia con il cinema, che personalmente leggo come un inno alla resilienza da parte di un regista che ha avuto alti e bassi, ma la cui regia resta una delle più lucide ed efficienti anche in Giappone.
Perfect Days (2023): Koji Yakusho
Voto 8/10
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