Regia di Wim Wenders vedi scheda film
È il bel film poetico, serena riflessione sul senso della vita, che Wim Wenders presentò a Cannes nel 2023 e che valse al suo eccezionale interprete – e coproduttore – la Palma come miglior attore protagonista.
Il protagonista si chiama Yrayama (Kôji Yakusho), nome evocativo di “Il gusto del Saké” e dunque di Ozu, il grande regista da sempre amato da Wim Wenders che gli aveva reso omaggio quasi quarant’anni fa con “Tokyo-Ga”.
Tornato in Giappone ai nostri giorni, Wim trova una capitale in qualche misura cambiata: luogo di contraddizioni che, sul piano simbolico, sembrano inverarsi nella singolarissima architettura che l’ha in parte ridisegnata affinché possano ricomporsi, nella sua bellezza, passato e presente: basse costruzioni in legno e alti grattacieli; arditi e trafficatissimi ponti e vecchie strade che li incrociano.
Qui le piante del bosco – che arrivano così in alto da offuscare la luce – convivono con i teneri germogli che – alla loro base – sembrano attendere una creatura compassionevole che li aiuti a crescere.
In questa nuova Tokio, città moderna dal cuore antico, hanno spazio the Tokio Toilets, che per il comfort di chi li usa, richiedono un’attenta pulizia quotidiana.
A questo compito umile e necessario si dedica Yrayama, uomo non più giovane, che vive in una casa di legno semplicissima e si direbbe spoglia, se le pareti della sua cameretta non fossero arredate dagli scaffali stracolmi di libri tascabili, da William Faulkner a Patricia Highsmith, ad Aya Koda…
Egli è, infatti, un uomo colto, affascinato dai grandi scrittori – del passato e del presente – e dalla poesia e, come Tokio, ha un cuore antico, amante della tecnologia analogica: analogica è, infatti, la memoria della sua macchina fotografica, testimone del passato da archiviare; analogiche le musicassette (da Patti Smith a Van Morrison; dagli Animals a Lou Reed) che accompagnano i suoi tragitti mattutini sul furgone, munito degli attrezzi che gli servono per la pulizia delle latrine che gli sono assegnate.
Nel lavoro Hyrayama pare realizzare il suo bisogno di perfezione: molto al di là di quello che gli si chiede, non si stanca di portare igiene e bellezza negli angoli quasi inaccessibili dei wc e degli orinatoi: usando pennelli, specchi e infine stracci e strofinacci elimina ogni traccia di sporcizia e lascia l’ambiente lucido e confortevole, come ognuno vorrebbe trovarlo.
In un’esistenza che sembra ripetitiva e monotona, tutta vissuta nel presente, la giornata gli riserva quasi sempre piccole sorprese: un germoglio – opportunamente innaffiato – sta diventando una pianticella; un bambino, da confortare e coccolare (la mamma lo aveva dimenticato seduto sulla latrina); il collega, un po’ svitato, che grazie al suo aiuto discreto, trova se stesso; il vecchio povero che s’inchina alle piante del parco; l’arrivo inatteso di Niko, la nipotina che non lo aveva dimenticato e che vorrebbe rimanere da lui… incursioni fugaci che non ne cambiano la visione del mondo e neppure la saggia filosofia.
Personaggio solitario per scelta? Oppure, come Travis (Paris Texas) o come Damiel (Il cielo sopra Berlino), predilige la solitudine senza vincoli, scottato dalle delusioni amare del passato, trovando nel presente la possibilità dell’aprirsi al mondo di cui, giorno dopo giorno, scopre meravigliandosene la bellezza?
Questo sembra suggerire la parte finale del film: l’incontro con l’uomo, conosciuto per caso, che ha i giorni contati e che grazie a lui -disponibile ad ascoltarlo - ritrova il proprio ubi consistam riconciliandosi col passato; le lacrime che, nell’oscura atmosfera del dormiveglia, sgorgano sul suo volto al pensiero della famiglia perduta....
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