Regia di Mary McGuckian vedi scheda film
Le biografie di grandi calciatori al cinema non hanno molta fortuna: 'Best', diretto da Mary McGuckian nel 2000 e quindi cinque anni prima della scomparsa della stella del Manchester United e della nazionale nordirlandese, fallisce quasi su tutti i fronti.
La parabola di ascesa e caduta di George Best, soprannominato il quinto Beatle, uno tra i più grandi fuoriclasse non solo del calcio britannico ma dell'intero panorama mondiale ben si prestava ad essere trasposta al cinema, poiché ricca di episodi e fatti che hanno lasciato il segno oltre che sul piano sportivo anche dal punto di vista sociale ed umano.
La vicenda inizia quando il calciatore ha già terminato la sua carriera e viene avvisato della morte di Matt Busby, manager e plenipotenziario dello United: da qui riviviamo in flashback i momenti salienti di Best, dalla gioventù nella natia Belfast, dove viene scoperto e portato a 15 anni a Manchester, ai fasti della seconda metà degli anni '60, culminati con il trionfo a Wembley nella finale di Coppa dei Campioni del 1968 contro i lusitani del Benfica per 4-1, per poi passare al rapido declino occorso all'inizio dei '70 a causa di una vita sregolata, fatta di donne, denaro sperperato in gioco d'azzardo, macchine, locali notturni ma soprattutto nell'abuso di alcool, che costrinse i dirigenti dello United a varie sospensioni prima e a cederlo nel 1974. Da questo momento i riflettori si accenderanno per lui solo per matrimoni, arresti e ricoveri ripetuti fino al 1994, dove il film temporalmente termina, con il tributo al tecnico a cui George e gli altri 'Busby Babes' dovettero molto.
Mentre il soggetto e la sceneggiatura, scritti dalla regista e da John Lynch, pur ricca di aneddoti ma anche di buchi temporali non da poco, sono quantomeno accettabili i problemi per la non riuscita dell'operazione stanno nella regia, nel casting e nella recitazione.
La McGuckian mixa (poche) immagini di repertorio delle partite con altre girate da lei, nelle quali vorrebbe ricalcare filologicamente le gesta sportive, ma che sortiscono, causa la bassa qualità, paragonabile a certe fiction italiche di basso livello, un effetto quasi comico; venendo alla componente umana del personaggio Best, la regista ricorre a fastidiose soggettive in cui l'inquadratura o è sghemba o traballa, per sottolineare, in modo grossolano, lo stato di ebbrezza del campione, banalizzando il tutto, accumulando una dietro l'altra donne, feste e bevute, senza dare la benché minima spiegazione dei demoni che attanagliavano il campione.
Ma la nota più dolente è la scelta e la conseguente resa recitativa di John Linch: l'attore c'entra poco o niente con il vero Best e di conseguenza tutto perde di credibilità. Linch, all'epoca quasi quarantenne, interpreta Geordie in un arco temporale che va dai diciassette alla soglia dei cinquant'anni ma non assomiglia mai e poi mai alla leggendaria ala destra; non bastano né una capigliatura folta né una barba incolta, oltretutto in un fisico poco atletico, a far di lui un'icona del calcio mondiale. Come recita il titolo di un documentario della BBC (molto bello): 'There's Only One Best'!
Voto: 4.
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