Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film
Holappa è un operaio col vizio della bottiglia, Ansa lavora in un supermercato; entrambi taciturni, rassegnati ormai a una vita mediocre eppure desiderosi di trovare qualcuno con cui condividerla. Si incontrano casualmente in un karaoke bar, una sera, e scocca la scintilla.
Foglie al vento è la definitiva consacrazione autoriale di Aki Kaurismaki? Probabilmente sì, se non fossero bastate tutte le sue prove precedenti. È però in questo film che il regista e sceneggiatore finlandese sembra aver stilizzato in maniera definitiva il suo cinema, sembra aver ridotto all'osso qualsiasi elemento visivo e testuale per raccontare una storia scarna, minimale, ma profonda, vera, paradigmatica, modello di qualsiasi altra storia d'amore mai narrata. C'è tanto del cinema muto (e la battuta conclusiva non lascia dubbi in proposito), c'è una sana voglia di nouvelle vague, di stupire ed emozionare con pochi e semplici mezzi, c'è l'umorismo gelido e spiazzante dei popoli scandinavi e soprattutto c'è l'incrocio esistenziale tra Ansa e Holappa, due figure emblematiche in una società alla deriva nella quale nulla funziona più, se non l'amore. Neppure l'alcol? Neppure l'alcol. E questa è una rivelazione incredibile, se si considera chi ce la sta porgendo. L'altra sorpresa risiede poi nel finale, quando i protagonisti, per cercare una nuova vita di speranza, non sono costretti come di consueto a imbarcarsi verso l'Estonia, ma decidono di provarci rimanendo in patria: nota positiva o rassegnazione all'inevitabile? Difficile dirlo, anche se l'ottimismo non è certo pane per Kaurismaki e per il suo pubblico. Notevole come sempre l'uso delle musiche – in particolare colpisce la sequenza al bar con l'esibizione delle Maustetytöt (traduzione letterale? “Spice girls”: ogni cosa è incredibile in questo film); eccellenti i protagonisti Alma Poysti e Jussi Vatanen in due ruoli nei quali occorreva recitare il meno possibile, costantemente in sottrazione. Quanto all'elemento di denuncia, infine, è notevole l'inserimento nel contesto di dettagli sull'economia allo sfascio, sulla precarietà dei lavoratori e soprattutto sulla guerra russa in Ucraina: ma finisce tutto quanto per far parte dell'ambiente, non c'è nulla di politico nell'opera, che rimane come di consueto per Kaurismaki sospesa in un limbo spaziotemporale che accosta presente e passato, qui e ovunque. 7,5/10.
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